Donald Trump verso le elezioni presidenziali Commenti di Federico Rampini, Elena Molinari, il corsivo di Massimo Gaggi che disinforma
Testata:Repubblica - Avvenire - Corriere della Sera Autore: Federico Rampini - Elena Molinari - Massimo Gaggi Titolo: «'Bloccherò la violenza': Trump ora punta sulle paure dell'America - La seconda volta di 'The Donald' - Il reality che cambia il profilo di Trump»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 28/08/2020, a pag.12, con il titolo " 'Bloccherò la violenza': Trump ora punta sulle paure dell'America", l'analisi di Federico Rampini; da AVVENIRE, a pag. 8, a firma di Elena Molinari il commento "La seconda volta di 'The Donald' "; dal CORRIERE della SERA, a pag. 27, con il titolo "Il reality che cambia il profilo di Trump", il commento di Massimo Gaggi.
Secondo Gaggi "gli omosessuali di certo non hanno avuto vita facile durante la presidenza" di Donald Trump, ma il giornalista non si cura di specificare e argomentare questa arbitraria affermazione, che non ci risulta confermata dai fatti. Il suo pezzo disinforma perciò contro il presidente americano.
Ecco gli articoli:
LA REPUBBLICA - Federico Rampini: " 'Bloccherò la violenza': Trump ora punta sulle paure dell'America"
Federico Rampini
«Non permetterò i saccheggi, gli incendi, le violenze, l'anarchia per le strade d'America. Ho mandato la Guardia Nazionale a Kenosha, Wisconsin, per imporre la legge e l'ordine!». Donald Trump ha chiuso la convention repubblicana su un terreno ideale. Le immagini di una nazione nel caos fanno per lui. Anche se una parte dell'emergenza di queste ore è dovuta alla pandemia (mal gestita dal governo, ma in declino da settimane), e un'altra evoca il cambiamento climatico (uragano in Louisiana e Texas, incendi in California), quel che conta è il disordine sociale. L'ultima tragedia che ha appiccato il fuoco del risentimento razziale, a Kenosha, è accaduta proprio nello Stato che i democratici avevano scelto per la loro convention poi diventata virtuale: il Wisconsin è una preda ambita, cruciale per i voti del collegio elettorale che può spostare in una casella blu o rossa il 3 novembre. Gli scontri violenti possono fare rieleggere Trump? Non importa se a scatenarli sia stato ancora una volta il comportamento della polizia che ha sparato a un nero paralizzandolo; non importa se in seguito alle proteste un giovane presunto suprematista bianco abbia a sua volta ucciso. Il fatto è che il governatore del Wisconsin deve chiedere aiuto alla Casa Bianca per riprendere il controllo e riportare l'ordine in quella città. «Dovrebbero fare lo stesso a Portland!», ammonisce Trump. Portland nell'Oregon è diventata il simbolo di una protesta anti-razzista di Black Lives Matter che è sfuggita di mano, ha creato delle zone proibite di fatto alle forze dell'ordine, dei ghetti dove si sono allargate le gang, moltiplicando i reati. Se si aggiungono altri episodi recenti come i saccheggi di Chicago, e la recrudescenza di criminalità in molte metropoli americane (da New York a Minneapolis), il clima può favorire chi sta dalla parte della legge anche quando il braccio che la fa rispettare è violento e contestato. "De-fund the police", lo slogan lanciato nei cortei dopo l'uccisione di George Floyd, si è trasformato in un boomerang: diversi sindaci di sinistra (inclusi Bill de Blasio a New York ed Eric Garcetti a Los Angeles) hanno davvero tagliato i fondi alla polizia. Il risultato è preoccupante, per l'impennata dei reati. Joe Biden e Kamala Harris hanno preso le distanze da quello slogan della frangia più radicale, ma Trump martella il messaggio che quei due «sono burattini manovrati dagli estremisti». Il precedente delle due vittorie del repubblicano Richard Nixon nel 1968 e nel 1972, in un'America sconvolta dalle proteste e dalla guerriglia urbana, è nella mente di tutti. Un timore aleggia tra i democratici: che la rimonta di Trump nei sondaggi configuri uno scenario simile alla "sorpresa" del 2016. In effetti la media dei sondaggi dice questo: benché Biden mantenga un vantaggio, il suo margine si sta assottigliando. Quasi tutte le rilevazioni degli ultimi giorni — e in modo particolare quelle che riguardano gli Stati in bilico — indicano una rimonta del presidente. Se si aggiunge l'economia che continua ad essere il terreno di forza di Trump (una leggera maggioranza di americani lo considera il più adatto a governare la ripresa), mentre I dati sui contagi di coronavirus migliorano, il quadro è perfetto per una finale da thriller, pieno d'incertezza fino all'ultimo. La questione razziale si è rivelata un'arma a doppio taglio negli ultimi mesi. L'ampiezza delle manifestazioni di protesta dopo la barbara esecuzione di Floyd da parte di un poliziotto di Minneapolis, aveva fatto parlare di una svolta, una presa di coscienza nazionale, uno spostamento di opinione pubblica. Col passare del tempo non è chiaro se questo sia il risultato finale. Il prevalere delle frange radicali nelle piazze, l'irruzione delle gang, gli episodi di razzie multiple nei negozi, ha spaventato anche un pezzo di middle class afroamericana (di sicuro i commercianti). E comunque l'elettorato resta composto per il 70% di bianchi. Già nel 2016 il messaggio martellante di Hillary Clinton sulla coalizione arcobaleno di tutte le minoranze — etniche o sessuali — aveva sortito l'effetto di ricompattare la maggioranza silenziosa nel campo avverso.
AVVENIRE - Elena Molinari: "La seconda volta di 'The Donald' "
Donald Trump
Il tamburo di «law and order» ha cominciato a suonare presto lunedì scorso, prima serata della convention repubblicana che ha insignito Donald Trump della nomination alla Casa Bianca. Ha continuato a battere per tre giorni ed è culminato con un rombo nella notte - l'alba italiana di oggi - per bocca dello stesso presidente. «Quello che è successo a noi potrebbe accadere a chiunque in quartieri tranquilli del nostro Paese. Non importa dove vivi, la tua famiglia non sarà al sicuro nell'America dei democratici radicali», aveva esordito Patricia McCloskey, che con il marito Mark è stata accusata di «uso illegale di un'arma» dopo aver puntato una pistola contro i manifestanti di Black Lives Matter che passavano vicino alla loro villa di St. Louis. Il Grand old party aveva invitato i coniugi alla sua kermesse. Il giorno dopo Donald Junior ha descritto la corsa tra il padre e l'ex numero due di Obama, Joe Biden, come «chiesa, lavoro e scuola contro rivolte, saccheggi e vandalismo». Poi il governatore Kristi Noem del South Dakota ha paragonato le manifestazioni antirazzismo all'inizio della guerra civile americana. E mercoledì, il vicepresidente Mike Pence ha chiarito ulteriormente il concetto: «Non sarete al sicuro nell'America di Joe Biden». Più e più volte questa settimana il partito conservatore Usa ha descritto le strade americane come covi d'illegalità e le proteste scatenate dall'uccisione di afroamericani da parte della polizia come i primi colpi di una rivoluzione che toglierà ai cittadini la pace dei loro quartieri. O, come ha detto Trump, metterà a rischio l'incolumità delle «casalinghe delle casette di periferia» con «un'invasione di residenze sovvenzionate per i meno abbienti». Presentando Biden come «il candidato più estremista che mai», e sostenendo (erroneamente) che dalla Casa Bianca avrebbe tolto fondi alla polizia, Trump ieri ha afferrato ancora con forza un testimone che il Grand old party non ha fatto del tutto cadere dai tempi di Richard Nixon: una strategia che utilizza la paura del crimine per fare leva sul timore degli elettori bianchi, soprattutto del sud e delle campagne, nei confronti di neri ed immigrati. Il motto «legge e ordine» ha funzionato con Nixon e con Ronald Reagan. The Donald scommette che può funzionare ancora, soprattutto per sviare l'attenzione degli americani da una pandemia che negli Usa ha fatto ammalare e morire più persone che in ogni altro Paese occidentale. A chi gli fa notare che è rischioso affermare che la nazione che ha presieduto per quattro anni non è un posto sicuro, Trump ha risposto con il suo discorso di accettazione della nomination: la colpa, ha detto, non è sua, ma dei 47 anni che Biden ha passato al Senato o alla Casa Bianca. Gli attacchi al rivale (definito un «cattolico solo a parole» e un cavallo di Troia dei socialisti) hanno fornito materiale a buona parte dell'intervento del presidente, come già a quello del suo vice e di tutti i membri della sua famiglia, con la sola eccezione della first lady. «La scorsa settimana, Joe Biden non ha detto una parola sul caos che avvolge le città di questo Paese», aveva infatti detto Pence, trascurando la condanna della violenza profferita dal candidato democratico. Ma in chiusura di convention, nel giorno in cui un altro milione di persone ha ingrossato le fila dei disoccupati ed è stato confermato il crollo del 30% del Pil Usa, i sondaggi mostravano che per vincere a novembre presentare i democratici come responsabili di tutti i mali d'America potrebbe non bastare. Trump ha bisogno di allargare la sua base. Così ieri, dal prato della Casa Bianca trasformato in vetrina politica, ha lanciato un appello inedito. «Il partito repubblicano è pronto ad andare avanti unito e determinato - ha detto -. Ed è pronto a dare il benvenuto a milioni di democratici e indipendenti e a tutti coloro che credono nella grandezza dell'America e nel cuore degli americani». Dopo quattro giorni di messaggi negativi, una mano tesa, un messaggio di unità? Forse. Oppure un modo per esorcizzare la notizia che, proprio ieri, oltre cento repubblicani di peso hanno dato il loro endorsement a Biden.
Corriere della Sera - Massimo Gaggi: "Il reality che cambia il profilo di Trump"
Massimo Gaggi
La convenzione repubblicana trasformata da Trump in reality show. Il presidente ha battuto questa strada con l'obiettivo di recuperare consensi elettorali cambiando la narrativa sul suo conto: attacchi a Biden a parte, dal palco del Grand Old Party, più che di politiche, si è parlato di The Donald descritto come un leader empatico, amico di afroamericani e immigrati, promotore delle donne in politica e nella società (per sottrarsi alle accuse di misoginia che si tira dietro dalla campagna 2016). Trump ha tentato di recuperare consensi perfino tra gli omosessuali, che di certo non hanno avuto vita facile durante la sua presidenza. Tutto comprensibile: le campagne elettorali sono anche teatro e in politica le forzature sono all'ordine del giorno. La strategia comunicativa di Trump aveva, però, davanti due ostacoli teoricamente impossibili da superare: l'evidenza di fatti oggettivi opposti alle tesi ora sostenute dalla sua campagna (a partire dalia gestione disastrosa del coronavirus) e la legge, l'Hatch Act, che vieta a un presidente di usare risorse, strutture, persone e atti di governo per essere rieletto. Quelle norme sono state violate più volte, ad esempio mettendo e scena, nella convention, una cerimonia di naturalizzazione di immigrati officiata da un ministro. Di più: quelle regole sono state addirittura irrise da Mick Mulvaney. Per il capo di Gabinetto di un presidente che si richiama di continuo al rule of law, il rispetto della legge, Match Act è obsoleto: il suo rispetto «non interessa a nessuno al di fuori della Beltway», il raccordo anulare che circonda Washington. Aggirato il primo ostacolo teorizzando un rispetto della legge «a geometria variabile», la campagna di Trump ha affrontato il secondo — le affermazioni false o fuorvianti necessarie per costruire la nuova narrativa — con la tecnica della saturazione: una pioggia di informazioni infondate che la gente non ha il tempo e l'attenzione per verificare. Una storia fasulla venduta bene funziona più del certosino lavoro di verifica che porta alla sua smentita, come dimostra il caso Natalie Harp: la donna che si dice miracolata da Trump (sopravvissuta a un cancro alle ossa grazie a una terapia sperimentale resa disponibile da una norma voluta dal presidente) è stata mandata sul palco anche se la sua storia è stata contestata dagli scienziati e smontata da inchieste giornalistiche.
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