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La Repubblica Rassegna Stampa
22.08.2020 Verso il cambio di regime in Bielorussia? Un appello (inutile?) all'Europa
Analisi di Bernard-Henri Lévy

Testata: La Repubblica
Data: 22 agosto 2020
Pagina: 13
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Ora l’Europa aiuti questa nuova rivoluzione di velluto»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/08/2020, a pag.13 con il titolo "Ora l’Europa aiuti questa nuova rivoluzione di velluto" il commento di Bernard-Henri Lévy.

Immagine correlata
Bernard-Henri Lévy

Belarus President Alexander Lukashenko under fire - BBC News
Aleksandr Lukashenko

Mentre questo articolo va in stampa, non sappiamo come andrà a finire in Bielorussia lo scontro tra gli avversari e i sostenitori di Aleksandr Lukashenko. Ma una cosa è già chiara. La rivolta di Minsk è l’ultima scossa di assestamento, trent’anni dopo, di quel terremoto che fu la caduta del muro di Berlino. Quello che sta accadendo lì è, quindi, al tempo stesso molto commovente (la primavera tardiva di un popolo dimenticato dalle rivoluzioni antitotalitarie del XX secolo), storico (una delle ultime dittature in Europa che si ricordino e i cui giorni, qualunque cosa accada, sono ormai contati) e terribilmente familiare (un presidente fantoccio che cerca di riprodurre il noto, e potenzialmente tragico, scenario dell’appello al fratello maggiore russo). Che cosa possiamo dire, allora, alle centinaia di migliaia di uomini e donne saldi nella loro richiesta di libertà e che si oppongono, in modo frontale ma con calma, ai carri armati blindati, alle forze speciali antisommossa e ai poliziotti nascosti tra le case e agli ingressi della metropolitana? Bravi. Grazie. Voi siete la coscienza, gli araldi e i degni rappresentanti della libertà di cui stiamo perdendo il gusto nelle nostre democrazie confinate. Come incoraggiare queste chiese, questi sindacati, questi funzionari e diplomatici passati dalla parte dei ribelli? Come sostenere questi militari che si fanno filmare mentre si strappano le mostrine e i galloni o questi scrutatori delle elezioni del 9 agosto che cominciano ad ammettere che il risultato è stato truccato? In breve, come possiamo confortare questo popolo unito nel suo rifiuto della tirannia e disposto ad affrontare tutti i rischi per abbattere l’ultimo pezzo di muro sovietico ancora in piedi ai margini dell’Europa? Tendendo loro fraternamente la nostra mano, come facemmo, all’inizio degli anni Ottanta, con gli operai polacchi dei cantieri navali di Danzica. Ritornando allo spirito di una volta, che mi permise, quarant’anni fa, quasi ogni giorno, di scrivere su Le Matin de Paris un bloc-notes intitolato "Siamo tutti cattolici polacchi" che faceva eco alle proteste di Michel Foucault, Jacques Derrida, André Glucksmann, Jacques Julliard e altri: alcuni di loro sono ancora qui! Le loro voci non portano meno lontano di una volta! E i ponti che abbiamo costruito allora sarebbero ancora più solidi e utili nell’era dei social network! E poi, qual è la responsabilità, finalmente, dell’Europa istituzionale nei confronti di questi avventurieri della libertà che resuscitano il "Non abbiate paura" lanciato allora dal capo della Chiesa cattolica, apostolica, romana e polacca, ma la cui avventura potrebbe benissimo, questa volta, a seconda delle valutazioni del Cremlino sull’equilibrio internazionale dei poteri, sfociare nel terrore e nello spargimento di sangue? L’Europa deve capire che è sola, ridotta alle sue forze e priva del sostegno di un’America repubblicana che ha rotto con l’eredità antitotalitaria del presidente Reagan. Essa deve tenere conto della terrificante frana che ha fatto sì che si passasse, anche al suo interno, dallo spirito di Jan Patocka e Bronislaw Geremek, a quello di Matteo Salvini, Viktor Orbán, Jaroslaw Kaczynski e dei fautori della Brexit. E deve sapere che spetta a lei, tuttavia, venire in soccorso e fare in modo che questo evento si trasformi in una rivoluzione di velluto alla Vaclav Havel piuttosto che in una sanguinosa primavera in cui, come a Praga nel 1968, sarebbe affidato ai carri armati di Putin restaurare un ordine post-sovietico. La Bielorussia è anche la seconda patria di Svetlana Aleksievic, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura 2015 e autrice, in particolare, della magnifica Preghiera per Chernobyl’. È anche quella del giovane Chagall che vi divenne, un secolo fa, un effimero ma ardente commissario delle Belle Arti.

Au-dessus de Vitebsk | luxembourg
Vitebsk secondo Chagall

È il Paese di Vitebsk, la sua città, che, per uno di quei miracoli dell’ecologia spirituale a cui la regione non è nuova, ha conosciuto un destino del tutto simile a quello di Lviv (Leopoli), la città dell’Ucraina occidentale, dove due giuristi concepirono, contemporaneamente, anche se senza consultarsi, i concetti gemelli di "genocidio" e di "crimine contro l’umanità": qui lavorò Chagall, dunque, ma anche El Lissitzkij, Kasimir Malevitch, l’architetto Lazar Khidekel — è qui, in questa città "fumosa e triste" dove Eisenstein osservò, nel 1920, che i muri di mattoni rossi erano ricoperti di cerchi verdi, di quadrati arancioni e di rettangoli blu, che si inventò un intero capitolo, e non l’ultimo, dell’arte contemporanea. È, come il resto della Galizia, una di quelle "terre di sangue" in cui i vivi sono, da settant’anni, circondati da fantasmi, cioè dalla memoria delle centinaia di migliaia di ebrei (erano una grande comunità a Vitebsk) sterminati e lasciati senza tomba. A questo si aggiunga il coraggio di Svetlana Tikhanovskaja che annuncia dalla Lituania, dove è stata costretta ad andare in esilio, di essere pronta a governare. Il coraggio dei milioni di dimostranti le cui bandiere, i cui palloncini multicolori e le cui catene umane sfidano i carri armati al di là di ogni paura. Aggiungete, contro di loro, le grottesche provocazioni di un dittatore che, vedendo che l’opposizione alla sua persona è incarnata da una donna, spiega che la Costituzione è stata scritta «per gli uomini» e che non c’è altro da fare con quelli che non lo capiscono che «rimettergli la testa a posto». Come in Georgia nel 2008, come in Ucraina nel 2014, è l’anima dell’Europa che vive in Bielorussia.
Traduzione di Luis E. Moriones

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