Solo parole o una nuova linea del governo italiano in politica estera? La lettera di Piero Fassino a Repubblica
Testata: La Repubblica Data: 17 agosto 2020 Pagina: 24 Autore: Piero Fassino Titolo: «L'immobilismo nuoce ai palestinesi»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/08/2020, a pag. 24, con il titolo "L'immobilismo nuoce ai palestinesi", la lettera di Piero Fassino.
Piero Fassino, presidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, compie una giravolta e si schiera decisamente a favore dell'accordo Usa, Israele ed Emirati e contro la politica dei "no", l'unica conosciuta dalla dirigenza araba palestinese da cento anni a questa parte. Non possiamo dimenticare però che Fassino con altri 70 parlamentari meno di tre mesi fa ha firmato una lettera contro Israele, paventando i rischi della possibile cosiddetta annessione di parti dei territori contesi: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=120&id=78371 E non dimentichiamo quando nel Consiglio comunale di Torino, dove Fassino è consigliere PD, rese possibile l'approvazione di una ignobile risoluzione contro Israele uscendo con i suoi al momento del voto. Quindi nemmeno astensione, ma abbassando il numero dei votanti. Ecco il link: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=120&id=71412
Adesso, grazie a Trump,Bibi e Emirati, a fronte della nuova posizione degli stati arabi sunniti, farà finta di niente oppure sulla farà seguire dei fatti sulla linea del governo italiano Pd e 5stelle su Israele? Oppure quelle di Fassino rimarranno soltanto parole senza conseguenze?
Ecco la lettera:
Piero Fassino
Caro direttore, all'annuncio dell'Accordo di Abramo - l'intesa tra Israele e Emirati Arabi Uniti - la leadership palestinese, dopo alcune ore di imbarazzato silenzio, ha scelto il rifiuto, denunciando il «tradimento» e invocando la reazione del mondo islamico. Una posizione nell'immediato scontata, ma che rischia di essere sterile: l'accordo c'è - e forse sarà seguito da altri analoghi - e l'appello al mondo islamico è già vanificato dal sostegno che all'accordo hanno dato l'Egitto e buona parte del mondo sunnita. Sopratutto anche i palestinesi non possono Ignorare il radicale mutamento di scenario che ribalta di 180 gradi gli approcci fin qui perseguiti, a partire dal paradigma intorno a cui, dagli accordi Oslo ad oggi, si è cercata una soluzione al contenzioso israelo-palestinese. La risoluzione della questione palestinese non è più la condizione prioritaria per il riconoscimento di Israele da parte del mondo islamico, ma il suo contrario: il riconoscimento dello Stato ebraico da parte delle Nazioni islamiche - che lo hanno sempre negato - diventa condizione perché Gerusalemme accetti di negoziare una soluzione che soddisfi l'aspirazione palestinese ad avere un proprio Stato indipendente e sovrano. Uno degli ostacoli alla soluzione Due popoli/Due Stati, infatti, è sempre stato il timore israeliano che un accordo fondato solo sul rapporto bilaterale tra israeliani e palestinesi non desse certezza che il mondo islamico riconoscesse come irreversibile l'esistenza dello Stato di Israele. L'accordo di oggi - come i precedenti con Egitto e Giordania - va nella direzione di dare quella garanzia. Ne è la riprova che al riconoscimento di Israele da parte degli Emirati corrisponda la sospensione dell'annessione israeliana di parti della Cisgiordania. L'intesa rappresenta un successo per i suoi autori: Trump raccoglie il primo vero successo in politica estera; Netanyahu può vantare di aver rotto l'isolamento di Israele nella regione; l'emiro Mohammed bin Zayed conquista una posizione di leadership nel mondo sunnita. Viceversa l'intesa Israele-Emirati suscita in altri attori della regione allarmata reazione: Teheran vede crescere una strategia di suo accerchiamento; Ankara capisce che il suo disegno di egemonia neo-ottomana nel Mediterraneo incontrerà crescenti difficoltà; il mondo solita percepisce il rafforzamento dello schieramento sunnita avverso; il radicalismo islamico annuncia reazioni bellicose. E per ora Mosca tace. Non tutto dunque è scritto di quel che potrà succedere, a partire dall'incidenza dei nuovi avvenimenti sulle tante crisi che, dallo Stretto di Hormuz a Gibilterra, scuotono la grande regione mediterranea-mediorientale. Ma è indubbio che gli scenari sono in movimento e ogni attore è chiamato a ridefinire le sue scelte. E questo vale in primo luogo per i palestinesi chiamati a scegliere: arroccarsi nel rifiuto dell'intesa, invocando una "protezione" del mondo Islamico, che troppe volte si dimostrata formale o strumentale; oppure mettersi in gioco, strada non priva di rischi, ma l'unica per non essere marginalizzati e riproporre invece la ineludibilità di una soluzione della questione palestinese. Certo una scelta coraggiosa richiede una leadership in grado di uscire dagli schemi fm qui perseguiti, spezzando l'assenza di iniziativa che ha caratterizzato la dirigenza palestinese. Sarà in grado di farlo Abu Mazen, a cui non mancano saggezza e moderazione, ma che appare prigioniero dell'immobilismo in cui è impigliata l'Autorità Nazionale Palestinese? Può il nuovo scenario determinare qualche mutamento nella strategia di Hamas? O forse è solo una leadership nuova, non prigioniera del passato, che potrà riconquistare uno spazio alla causa palestinese? Gli eventi dei prossimi mesi si incaricheranno di rispondere a questi interrogativi. In ogni caso adesso tocca ai palestinesi muovere. Incoraggiarli e accompagnarli in scelte difficili, ma ineludibili, è il ruolo che oggi possono e devono giocare l'Unione Europea e i suoi Paesi, a partire dall'Italia.
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