IC7 - Il commento di Diego Gabutti
Dal 10 al 15 agosto 2020
Kossiga, o il Picconatore
Francesco Cossiga
Francesco Cossiga, la cui presidenza (vuoi per caso, vuoi no) coincise con la caduta della prima repubblica e la conseguente catastrofe nazionale, era un fanatico cultore di spy stories (ma aveva un debole anche per Beautiful e per il «baracchino» dei radioamatori). Fu «Kossiga» per i suoi nemici, mentre per i fan era «il Picconatore»: l’uomo che anticipò di vent’anni e d’una generazione o due la jihad anticasta dei pasdaran di Beppe Grillo (solo che Cossiga era divertente, il comico no). Sottosegretario al ministero della difesa, ebbe la delega per il controllo di Stay-behind (da noi Gladio, l’organizzazione militare segreta in quota Nato destinata a operazioni clandestine in caso d’invasione sovietica, di sommossa comunista o di guerra aperta, per mare e per terra, col Patto di Varsavia). Fu ministro dell’interno negli anni di piombo. C’era lui, al Viminale, quando Aldo Moro, il presidente della Democrazia cristiana che aveva contrattato il compromesso storico col segretario del Pci Enrico Berlinguer, venne rapito e ucciso dalle Brigate rosse.
Fu «il ministro della repressione», come si diceva allora, nel gergo rococò delle barricate, dei Macondi e delle «librerie alternative». Erano sue – di Francesko Kossiga, e del suo bounty killer di fiducia, Carlo Alberto dalla Chiesa – le manette che scattavano ai polsi (nonché le pallottole che fischiavano alle orecchie) dei terroristi. Stupisce perciò che – grazie a un articolo di Giovanni Bianconi apparso qualche giorno fa sul Corriere della sera – venga alla luce questo imponente, caramelloso e francamente un po’ ridicolo carteggio di Cossiga (ma per loro Kossiga, servo del «SIM», lo Stato Imperialista delle Multinazionali) con i mammasantissima, gli uomini di panza e i semplici punciuti della lotta armata, da Renato Curcio a Marco Barbone, da Toni Negri (erano amiconi e si davano del tu) a Prospero Gallinari, da Roberto Sandalo a Mario Moretti, l’ometto (pura banalità del male) che guidò le Brigate rosse nell’attacco al cuore dello Stato. Benché mai dimenticati abbastanza, sono tutti nomi oggi a un pelo dall’oblio (non manca molto al giorno in cui dimenticheremo i nomi anche di Giuseppe Conte e d’Alfonso Bonafede, di Gigi Di Maio e di Nicola Zingaretti, di Giuseppe Sala e di Matteo Salvini, il pantheon del moderno «sovversivismo» antipolitico, erede remoto e stracciaculo del «sovversivismo di sinistra», come Cossiga ribattezzò, annacquandolo, il terrorismo marxleninista). Si conserva una vaga traccia di costoro e la memoria sempre più nebulosa delle loro imprese giusto nel carteggio di Cossiga (o di Kossiga?) con l’alta società goscista degli anni settanta. Per esempio nelle lettere scambiate con Mario Moretti, quando «l’ex presidente della repubblica» – scrive Bianconi – ringrazia «il regista del Caso Moro per il suo libro sulla storia delle Br apparso nel 1994 e ribadisce la sua idea» del terrorismo… pardon, del «sovversivismo di sinistra» come d’«un fenomeno radicato socialmente e radicalmente nella società e nella sinistra italiana, e collegato alla divisione ideologica dell’Europa». Parole un po’ al vento: dal fanatico lettore di spy stories, dall’ex sottosegretario al ministero della con delega per Gladio, si pretenderebbe qualcosa di più che un’analisi cerimoniosa e banalotta, all’epoca stile Manifesto, oggi stile Fatto quotidiano o giornalone senza identità.
Per tirargli fuori qualcosa di ragionevole e di meno scontato sull’età delle stragi e del terrorismo, bisognerà aspettare la sentenza che, per compiacere le sinistre più antisioniste che antifasciste, attribuirà la strage di Bologna al terrorismo neonazista… di nuovo pardon: al «sovversivismo di destra». Cossiga non se la beve (il lettore di Segretissimo è per una volta al lavoro). In quell’occasione – invece di sproloquiare di fenomeni socialmente radicati» nella società italiana come un qualunque gazzettiere scarso di QI – Cossiga protesta contro la sentenza che scarica la strage sulla capace gobba di due pluriassassini neofascisti, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, capi dei NAR. Indica, più ragionevolmente, nei militanti del «sovversivismo» palestinese i responsabili dell’attentato, come molti indizi, ancora oggi trascurati dai tribunali, fanno pensare. Ma per quanto, secondo Cossiga, innocenti della strage, Mambro e Fioravanti hanno assassinato personalmente molti figli di mamma (molti, non uno o due, e tutti «poracci», come direbbe Carlo Calenda). Non si capisce, pertanto, a che pro scambiare con costoro lettere cerimoniose quando opportunità (e rispetto per le vittime delle loro rivoltelle) vorrebbe che li si tenesse a distanza. Kossiga, lui, si tiene invece in contatto, premuroso, tutto un visitare i carcerati. A Cossiga, evidentemente, piace scrivere e ricevere lettere e si trasforma così in una specie di Lady Eva (come Franca Valeri in Piccola posta, ma più sull’ossessivo-compulsivo) per i «sovversivi» di tutte le tendenze. Cito ancora Bianconi, per dare l’idea di questa oscura bizzarria democristiana: «Morto dieci anni fa, Cossiga è stato e continua a essere pressoché l’unico politico apprezzato dagli ex militanti della lotta armata. Compresi i giovani aderenti alla fazione brigatista che nel 1987 uccisero il generale Licio Giorgieri: Francesco Maietta e Fabrizio Melorio. “Le sue esternazioni hanno avuto per me lo stesso effetto di rottura e nuovo punto di partenza delle considerazioni del professor De Felice in materia di fascismo e resistenza”, gli scrive Maietta nel 1993; cinque anni più tardi Cossiga sarà ospite al matrimonio dell’ex brigatista, uscito dal carcere. E al suo compagno di cella Melorio, che a Cossiga aveva raccontato il passaggio dall’essergli nemico nel Settantasette a “condividere molte delle cose che lei sostiene”, l’ex presidente confida: “Ho letto con attenzione, trepidazione e commozione la sua lettera… perché in fondo mi sento anche un po’ colpevole della Sua prigionia, essendo stato uno di quelli che hanno combattuto quella guerra, e per di più per essermi trovato dalla parte dei vincitori”». Commozione. Trepidazione. Sua prigionia (col Sua maiuscolo). Guerra (e colpevole d’averla vinta). E ancora (un mostro morale dopo l’altro) ecco una lettera al brigatista irriducibile Paolo Persichetti del 2002: «Oramai la cosiddetta “giustizia” che si è esercitata e ancora si esercita su di voi, anche se legalmente giustificabile, è politicamente o “vendetta” o “paura”, come appunto lo è per molti comunisti di quel periodo, quale titolo di legittimità repubblicana che credono di essersi conquistati non col voto popolare o con le lotte di massa ma con la loro collaborazione con le forze di polizia e di sicurezza dello Stato». Non si capisce bene che cosa l’ex presidente della repubblica stia dicendo. Solo una cosa sembra chiara: parla con condiscendenza, trattandoli da revisionisti e da delatori, dei comunisti ufficiali, che detestano il Picconatore, e celebra quelli eretici, che invece ammirano Kossiga.
Diego Gabutti