Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 15/08/2020, a pag. 11, con il titolo "Protesta nei Territori: 'Tradimento', ma il patto Emirati-Israele si allarga", il commento di Sharon Nizza; con il titolo "I palestinesi: 'Si sente la rabbia nelle strade degli arabi. I governi ne tengano conto' ", la sua intervista a Ashraf al-Ajrami, ex ministro palestinese dell'Anp.
Bene fa Sharon Nizza a intervistare l'ex ministro dell'Anp, in modo da far capire al lettore italiano la strategia della leadership araba palestinese, che da quando esiste sa sempre e solo dire "no" a qualsiasi proposta. Posizione coerente, infatti le mappe geografiche palestinesi hanno cancellato Israele, altroché 'due stati per due popoli'!
Ecco gli articoli:
"Protesta nei Territori: 'Tradimento', ma il patto Emirati-Israele si allarga"
Sharon Nizza
La mattina dopo l’annuncio della normalizzazione dei rapporti tra Emirati Arabi Uniti e Israele, la sensazione di vivere un evento storico è stata sintetizzata al meglio dal giornalista israeliano Ran Binyamini, che ha aperto il suo programma rivolgendosi in arabo ai cittadini emiratini: «Buongiorno! Non vediamo l’ora di venirvi a trovare e di vedervi qui. Possa questo accordo portarci verso un futuro migliore di cooperazione, amicizia e pace». Per quanto le relazioni ufficiose tra i due Paesi fossero cosa nota, la svolta ha provocato reazioni degne dell’annuncio con cui Sadat nel ‘77 rivelò la sua intenzione di andare a Gerusalemme ad avviare trattative: enorme eccitazione da un lato e totale repulsione dall’altro. In Israele quasi tutto l’arco politico e intellettuale si congratula con Netanyahu. Persino nel movimento degli insediamenti, che ha duramente criticato il premier per aver «perso l’occasione » di estendere la sovranità su parte dei Territori palestinesi, c’è chi, come il sindaco di Efrat Oded Ravivi, ha detto che «l’accordo di pace è un prezzo accettabile da pagare per aver rimandato la mossa». Netanyahu ha parlato di «sospensione» e non di «cancellazione» del piano, ma Trump ha detto che sovranità e accordo di pace non possono convivere. Ad Abu Dhabi il quotidiano Al Bayan apriva ieri con il titolo "Un risultato storico". Avendo incassato l’approvazione pubblica dei principali attori sunniti dell’area, Egitto, Giordania — oltre a Oman e Bahrein che in molti pensano potrebbero accodarsi nello spezzare il tabù della normalizzazione con Israele — il ministro degli Esteri emiratino si è detto molto incoraggiato dalla reazione internazionale. Sul fronte dell’avversione, i palestinesi di Fatah e Hamas si sono trovati uniti nel definirlo «un atto di tradimento verso la causa palestinese». L’Anp ha richiamato l’ambasciatore da Abu Dhabi, mossa che anche Erdogan sta considerando, nonostante la contraddizione posta dal fatto che il suo Paese abbia relazioni diplomatiche con Israele. Sulla Spianata delle Moschee e a Nablus immagini del principe Mohammed bin Zayed sono state date alle fiamme o calpestate. Il portavoce del consiglio legislativo iraniano ha parlato di «occupazione sionista degli Emirati». Nasrallah nel suo discorso nel ricorrere della «divina vittoria 14 anni fa sul nemico sionista» non si è detto stupito dall’accordo, ma ora la sua attenzione è rivolta all’imminente verdetto sull’omicidio Hariri, le cui conclusioni ha già detto che «ignorerà». Turchia e Iran si sono fatti portavoce dei «diritti calpestati dei palestinesi», ma è ancora da capire se Abu Mazen vorrà avventurarsi in nuove alleanze che potrebbero allontanarlo definitivamente dall’asse dei Paesi arabi sunniti. Soprattutto constatato che Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas che da mesi vive in Qatar, pochi giorni fa è atterrato in Turchia. Se la leadership di Hamas, espressione dei Fratelli Musulmani a Gaza, sta per ricevere ospitalità da Erdogan, un patto tra Turchia e Anp governata da Fatah potrebbe non essere scontato.
"I palestinesi: 'Si sente la rabbia nelle strade degli arabi. I governi ne tengano conto' "
Ashraf al-Ajrami, ex ministro palestinese
Ashraf al-Ajrami, ex ministro palestinese per i detenuti, è il volto di Abu Mazen per il pubblico israeliano. In ebraico fluente, appreso negli anni trascorsi nelle carceri israeliane negli anni ’80 dopo aver combattuto con l’Olp in Libano, interviene spesso in radio o tv. Al telefono da Ramallah, il tono della voce varia tra rabbia e frustrazione mentre parla della reazione all’avvio di rapporti diplomatici tra Emirati e Israele.
Gli Emirati si sono impegnati a portare avanti la soluzione dei due stati. Perché i palestinesi parlano di tradimento? «L’accordo è una violazione dello storico impegno della Lega Araba a non normalizzare i rapporti con Israele senza tenere conto dei diritti dei palestinesi. Si basa sul Piano Trump e non accettiamo nessun piano che non si basi sui confini del ’67».
Abu Mazen ha chiesto la convocazione della Lega Araba. «Chiediamo la condanna dell’azione degli Emirati e che venga ribadito il sostegno alla causa palestinese».
Ma Egitto, Giordania, Oman, Bahrein si sono espressi a favore dell’accordo. «Sarà complicato, ma non rinunciamo a rivendicare la nostra posizione. Abbiamo richiamato il nostro ambasciatore e dobbiamo portare avanti azioni risolute per far capire agli altri Stati che stanno pensando di andare nella stessa direzione che non è una buona idea. Devono tenere conto che non godono del consenso della piazza araba sulla normalizzazione. Puntiamo sull’opposizione popolare, la puoi sentire per strada, sui social».
Senza il sostengo dei tradizionali alleati arabi, dove guardano i palestinesi? «Ogni Paese pensa ai suoi interessi, non c’è più impegno verso il progetto nazionale arabo. Dobbiamo capire se possiamo ancora contare sui Paesi arabi o se dobbiamo guardare ad altri Stati, rivolgerci alla comunità internazionale. A novembre tutto potrebbe cambiare se dovesse cadere il regime di Trump».
Quali Stati? Turchia, Iran, Cina? «La Cina è un nostro alleato, ha il veto all’Onu e ci sostiene, ma non credo possa diventare un’alternativa reale nel breve raggio. La Turchia condanna, ma poi ha rapporti diplomatici con Israele. Per ora non siamo interessati a coalizioni che possano infastidire i Paesi arabi».
Non sarebbe stato meglio accettare l’invito degli Usa a partecipare alle trattative invece di interrompere i rapporti? «Il piano di Trump va in contraddizione persino con le proposte americane precedenti, come la Road Map di Bush. Sono gli Usa che hanno deviato e che devono recuperare i parametri tradizionali se vogliono che torniamo al tavolo delle trattative».
Cosa succederà ora? «Continuiamo a lottare contro l’occupazione. Se il mondo sarà indifferente, alla fine sarà costretto a intervenire quando la sicurezza e la stabilità dell’area e oltre saranno minacciate, e succederà di certo. Noi non andiamo da nessuna parte e porteremo avanti azioni determinate. E se non si raggiungerà la soluzione dei due stati, andremo sulla soluzione di un unico stato, binazionale».
Israele binazionale? «Un unico stato, democratico, per due popoli con pari diritti, puoi chiamarlo Israele, Palestina, Honolulu».
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