Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/08/2020, a pag.12, con il titolo "Soros: 'Europa fragile, Cina e populisti i veri nemici' ", l'intervista di Mario Platero a George Soros.
Soros viene descritto da Mario Platero come Superman: un novantenne che si dedica assiduamente al tennis, ed è attivissimo su molti fronti contemporaneamente. L'intervista è però omissiva, perché il giornalista evita di chiedere dei finanziamenti concessi da Soros alle ong che delegittimano Israele e spingono per l'islamizzazione dell'Europa.
Soros è un caso unico nella storia dell'antisemitismo: chi lo critica per le sue attività politiche attraverso la sua fondazione - investe centinaia di milioni di $- viene automaticamente accusato di antisemitismo. Con l'unica eccezione di Israele -dove è giudicato 'persona non grata' dato che finanzia le Ong israeliane che hanno come scopo la delegittimazione dello Stato ebraico- dove apparirebbe inaccettabile l'accusa di... antisemitismo!. Nemmeno Bernie Sanders, ebreo,che in fatto di odio verso Israele non è secondo a nessuso, chi l'ha criticato, anche duramente, non è mai stato accusato di antisimitismo. Soltanto Soros !!
Stupisce che Repubblica gli dedichi quella che potrebbe essere definita, senza smentita, una enorme 'velina'.
Ecco l'intervista:
Mario Platero
George Soros
George Soros è appena tornato da una partita a tennis. A 90 anni gioca tre volte la settimana. Non è il massimo della mobilità, ma fa punti a rete con tempismo impeccabile. E se sbaglia gli parte un ruggito autocritico che intimidisce. Nell’imminenza del suo compleanno, che festeggerà oggi, è in forma perfetta. Soros è stato il finanziere simbolo dell’ultimo secolo. Controverso, generoso, aggressivo, nel 1992 mise in ginocchio la Banca centrale inglese e la Banca d’Italia; in 30 anni ha donato 32 miliardi di dollari in filantropia, per promuovere la sua "Società Aperta". Ha avuto scontri duri con persone come Donald Trump o Viktor Orban. Eppure, seduto nel giardino fiorito della sua villa a Long Island, a riflettere sui suoi novant’anni, mi confida un cruccio: «La gente non mi conosce». C’è da chiedersi come mai proprio lui sia diventato da alcuni anni il bersaglio preferito delle teorie del complotto. Sopravvissuto coi genitori alle deportazioni naziste in Ungheria, è stato accusato di neonazismo. Avrebbe "organizzato" la crisi finanziaria del 2007; è stato addirittura bollato come anticristo. Tutte "fake news" confezionate sia da destra che da sinistra sfruttando la confusione e l’ignoranza che pervadono il mondo digitale. «Una volta c’era il complotto giudaico-bolscevico – osserva – adesso è chiamato solo il complotto ebraico. La verità è che il complotto internazionale è contro di me. Quando combatto la discriminazione, l’esclusione razziale, i regimi totalitari, porto avanti la missione della mia vita, in trasparenza». «Sono nato nel 1930 in una famiglia della classe media a Budapest. Come molti altri ebrei, quando la Germania nazista occupò l’Ungheria nel marzo del 1944, sarei morto se mio padre non avesse capito prima della maggioranza della gente cosa sarebbe successo». «Capire prima» diventa il paradigma della sua vita. Nel 1947 è lui, George, a capire prima che è meglio scappare dall’Ungheria finita sotto il giogo sovietico. Scappa a Londra e studia alla London School of Economics. È là che incontra Karl Popper, teorico della Società Aperta. Il professore diventerà l’ispiratore di un modello per anticipare eventi, anche economici, che poggia su due paradigmi: quello della «fallibilità », quando la gente interpreta in modo errato la realtà, e della «riflessività », cioè l’azione sbagliata che segue all’errore interpretativo. È su questo modello che Soros ha identificato inefficienze su cui speculare. Un’alchimia razionale, non un complotto ricco di ombre. Dopo l’università, la carriera di Soros comincia nel 1954 alla banca d’affari Singer e Friedlander, a Londra. Nel 1956 si trasferisce a New York per la F.M. Mayer. Nel 1969 lancia un piccolo fondo da quattro milioni di dollari che negli anni diventerà il suo celebre Quantum Fund. Nel 1992 arriva il colpo grosso: scommette dieci miliardi di dollari sul ribasso della sterlina inglese e altre valute, inclusa la lira, e vince la scommessa: il profitto è di un miliardo. Non c’è contraddizione fra la sua passione per l’Europa e l’azione speculativa che all’epoca attaccò il Sistema monetario europeo? «C’era una inefficienza di mercato, ho visto un’opportunità. Era una scommessa asimmetrica a mio favore su cui puntavo tutto il mio capitale. Non ho nessuna remora, sono soltanto arrivato primo e c’è sempre un rischio». È su un’operazione rischiosa che nasce la sua missione filantropica. Nel 1979 era impegnato in una speculazione difficile: «La tensione era così forte che credevo avrei avuto un infarto. Fu un falso allarme, ma mi fece pensare che se fossi morto sarei stato un perdente, perché avrei perso la vita cercando di fare soldi». Nasce allora la sua prima attività per rafforzare democrazia, diritti civili, istruzione.
Come vede la situazione attuale dopo che il Covid-19 ha scardinato la vita di ogni persona sulla faccia della terra? «Siamo nella crisi più grave dalla seconda Guerra Mondiale. È una situazione rivoluzionaria con sviluppi imprevedibili. Quel che sembra impossibile nella normalità non solo diventa possibile, ma si verifica. La gente è disorientata, spaventata e reagisce male. Vedo individui che si fanno del male. Il mondo che si fa del male».
«L’Europa è molto vulnerabile, più degli Stati Uniti. È vero, persino negli Usa, è stato possibile eleggere alla presidenza un imbroglione come Trump, cosa che mette a rischio la democrazia dall’interno. Ma l’America è una delle democrazie più antiche della storia, vi è una forte tradizione per la separazione dei poteri, ci sono regole solide e soprattutto c’è la Costituzione. Per questo sono ottimista. Trump sarà un fenomeno transitorio, che spero si concluderà già alle elezioni di novembre. Resta molto pericoloso, sta combattendo per la sua sopravvivenza; farà di tutto per rimanere al potere perché, avendo violato varie volte la Costituzione sarà chiamato a risponderne se perderà la Casa Bianca. L’Unione Europea, essendo un’unione incompleta, è invece molto più vulnerabile, e ha numerosi nemici sia interni che esterni».
«I leader e movimenti contrari ai valori su cui l’Unione Europea è stata fondata. In due paesi hanno addirittura conquistato il potere: Viktor Orbán in Ungheria e Jaroslaw Kaczynski in Polonia. Accade anche che Polonia e Ungheria siano i maggiori beneficiari dei fondi strutturali distribuiti dalla Ue. La mia principale preoccupazione in questo momento però riguarda l’Italia. Matteo Salvini, leader anti europeo ha guadagnato consensi finché ha commesso l’errore fatale di provocare la crisi di governo. La sua popolarità è in declino, ma è in ascesa quella di Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, ancora più estremista e della stessa coalizione. Vedo un governo estremamente fragile, con una coalizione che regge solo per evitare elezioni che sarebbero vinte dalle forze anti europee. E dire che l’Italia era il sostenitore più convinto dell’Europa, la popolazione aveva più fiducia nell’Europa che nei propri governi. Ma l’Italia resta un membro chiave, non posso immaginare l’Europa senza l’Italia. La domanda chiave è se l’Europa sarà in grado di fare abbastanza per sostenere l’Italia».
«Vero. In teoria ha fatto un passo avanti molto importante impegnandosi a indebitarsi sul mercato per un ammontare decisamente superiore a quanto mai fatto prima. Ma in retrospettiva è chiaro che l’incontro del Consiglio europeo è stato un fallimento colossale. Il percorso scelto dall’Ue porterà troppo poco danaro troppo tardi, per l’ostruzionismo dei quattro o cinque Paesi "frugali". Questo mi riporta alla mia idea di un’obbligazione perpetua. Io credo che i quattro o cinque Paesi che hanno già diluito il Recovery Fund, invece di mettersi di traverso, dovrebbero sostenerla con entusiasmo. Solo una loro genuina conversione potrà rendere l’obbligazione perpetua accettabile per gli investitori. Come dice il nome, l’obbligazione paga per un tempo illimitato un interesse diciamo dell’1%, senza mai restituire il capitale. Il rapporto costo beneficio sarebbe enorme, uno a cento. Senza quello strumento l’Ue potrebbe non sopravvivere. E la perdita sarebbe colossale non solo per l’Europa, ma per il mondo intero. Un esempio di una cosa possibile e di questi tempi potrebbe anche verificarsi».
Merkel è determinata a fare della Presidenza tedesca della Ue un successo. Possiamo sperare in lei? «La Cancelliera sta facendo tutto quello che può, ma si confronta con un’opposizione culturale profondamente radicata: il termine tedesco "schuld" ha un doppio significato: debito e colpa. Chi ha un debito è colpevole. Ma non si considera che anche i creditori possono essere colpevoli. Questa dicotomia culturale è molto diffusa e si traduce in un conflitto fra l’essere allo stesso tempo tedeschi e europei. Spiega anche la recente decisione della Corte Suprema tedesca in conflitto con la Corte Europea di Giustizia».
«Sono diversi, ma hanno una caratteristica comune: si oppongono all’idea di una società aperta. Divenni un sostenitore entusiasta dell’Ue perché era il simbolo di una società aperta. La Russia era il nemico più pericoloso, ma recentemente la Cina l’ha superata. La Russia dominava la Cina fino a quando il Presidente Nixon, grande stratega di politica estera, capì che aprire alla Cina e rafforzarla avrebbe indebolito il comunismo anche nell’Unione Sovietica. Oggi le cose sono molto diverse. La Cina è leader nell’intelligenza artificiale con cui produce strumenti di controllo della popolazione. Sono essenziali per una società chiusa, ma sono un pericolo mortale per una società aperta. L’intelligenza artificiale oggi gira le carte a vantaggio delle società chiuse. E negli Stati Uniti c’è un raro consenso bipartitico nel definire la Cina un rivale strategico».
Qual è stata la sua chiave di successo nei mercati finanziari? Riguarda la complessa relazione esistente tra il pensiero e la realtà, e ho utilizzato il mercato come terreno di prova per testare la validità della mia teoria. Ci sono due presupposti la Fallibilità e la Riflettività. La prima dice che le visioni del mondo elaborate dai partecipanti al mercato sono sempre incomplete e distorte. Queste visioni distorte producono azioni sbagliate e questa è la Riflettività».
Il suo schema sembra parlare del mercato di oggi: è preoccupato dal rapporto valutazioni del mercato/debolezza dell’economia? Siamo forse in una bolla alimentata dall’enorme liquidità resa disponibile dalla Fed? «Certo. La Fed ha avuto più successo del Presidente Trump, che l’ha criticata, inondando il mercato di liquidità. Il mercato è attualmente sostenuto da due fattori: uno è l’aspettativa per il futuro immediato di un’ulteriore iniezione di stimoli fiscali ancora più consistente degli 1,8 miliardi di dollari del Cares Act, l’altro è l’aspettativa che Trump annunci il vaccino prima delle elezioni».
Lei ha recentemente donato 220 milioni di dollari alla causa dell’eguaglianza razziale e alle cause dei neri. Cosa pensa del movimento Black Lives Matter? «È davvero importante. È la prima volta che una larga maggioranza della popolazione, non solo gli afroamericani, riconosce che l’attuale discriminazione contro i neri può essere ricondotta alla schiavitù».
In questa rivoluzione si abbattono anche le statue e la correttezza politica sembra prevalere su tutto. «Alcuni la definiscono la cultura della cancellazione. Mi sembra un fenomeno temporaneo, e mi pare eccessivo. Si esagera con il politicamente corretto persino nelle università. Come teorico delle società aperte, considero il politicamente corretto, politicamente scorretto. Non dovremmo dimenticare che la pluralità di punti di vista è fondamentale per la democrazia».
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