Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 01/08/2020, a pag.12 due commenti di Stefano Vecchia dai titoli "Pakistan, la baby-sposa può lasciare l'aguzzino", "Viene accusato di blasfemia: ucciso in aula".
Ecco gli articoli:
"Pakistan, la baby-sposa può lasciare l'aguzzino"
Maira Shahbaz
Ha avuto una svolta positiva la vicenda di Maira Shahbaz, 14enne cattolica di Faisalabad, nella provincia pachistana del Punjab, sequestrata il 28 aprile da un musulmano armato di pistola e costretta al matrimonio dopo la conversione forzata. Ieri, il giudice della sua città ha consentito a Maira di lasciare il marito-aguzzino. Una decisione opposta rispetto al tribunale di primo grado, che aveva confermato il matrimonio tra la giovane e il rapitore, Mohammad Nakash, già padre di due figli. Stavolta, il magistrato ha dichiarato che ha la ragazzina è minorenne, confermando la validità del certificato di nascita presentato dai genitori e consentendole di lasciare l'abitazione del suo sequestratore, dove e ra stata praticamente segregata e senza possibilità di contatto con la famiglia. Maira è stata trasferita in un centro di accoglienza per donne, Dar ul Aman, con la proibizione però di avere rapporti con i congiunti. Come altre vicende che vedono protagoniste bambine o adolescenti rapite e convertite prima del matrimonio islamico, anche quella di Maira si gioca sul filo sottile tra diritto civile e religioso. Da qui un'alternanza di giudizi a volte favorevoli a volte negativi all'annullamento del matrimonio e al rientro delle rapite in famiglia, oltre che per la punizione dei responsabili. Molto dipende anche dalla tenacia delle famiglie d'origine e della possibilità di potere accedere a organi giudiziari di alto livello dove è più facile avere imparzialità di giudizio. Il 4 giugno scorso, a un mese dall'udienza con cui il tribunale distrettuale di Faisalabad aveva sentenziato la validità del matrimonio, la madre di Maira aveva presentato ricorso all'Alta Corte di Lahore, che ha comunicato di avere fissato un'udienza per la prossima settimana. In prospettiva, potrebbe quindi essere vicina a un risultato positivo la dura battaglia legale per ottenere la liberazione di Maira, impegno difficile da sostenere per la povertà della famiglia che si trova anche ad affrontare l'ostilità degli estremisti. A sostenerla sul piano legale l'avvocato ed ex ministro per i Diritti umani e le minoranze della provincia del Punjab, Khalil Tahir Sandhu, più volte minacciato per il suo impegno. Tempo fa, lo stesso Sandhu aveva ricordato che «in casi come questo quello che spesso vediamo è che, dopo due o tre anni, la ragazza viene restituita alla famiglia, quando ormai la lussuria è soddisfatta e ne hanno abbastanza di lei», e per questo aveva sottolineato l'urgenza di una azione incisiva per la liberazione. A lui, come a Maira e alla famiglia, è andato il supporto di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), la fondazione di diritto pontificio che sta seguendo un caso simile, quello della Huma Younus, pure 14enne al tempo del sequestro il 10 ottobre 2019 nella città meridionale di Karachi. Lo stesso direttore di Acs-Italia, Alessandro Monteduro, ha segnalato come «Huma Younus e Maira Shahbaz sono solo due delle centinaia e centinaia di adolescenti che subiscono il medesimo intollerabile trattamento. Non ci può essere vera pace sociale in Pakistan se le istituzioni, in particolare l'autorità giudiziaria, non si sottrarranno al condizionamento delle forze estremiste».
"Viene accusato di blasfemia: ucciso in aula"
Tahir Ahmad Naseem
Assassinato con sei colpi di pistola nell'aula di tribunale nella città di Peshawar in cui si trovava perché accusato di offesa all'islam per - secondo l'accusa - essersi dichiarato un profeta. Così è finita il 29 luglio la vita del 57enne Tahir Ahmad Naseem, arrestato due anni fa e da allora in carcere in attesa che la giustizia pachistana facesse il suo corso in un altro iter giudiziario che ha messo in evidenza ancora una volta i limiti della "legge antiblasfemia". Quest'ultima, da provvedimento di tutela della dignità della religione islamica, è diventato sempre più strumento di controllo e persecuzione delle minoranze. Naseem, che ha cittadinanza Usa, sarebbe appartenuto (anche se vi sono stati dubbi su questa particolare e anche sulla sua stabilità mentale) alla setta dei Qadiani (Ahmadi), perseguitata in Pakistan. Subito dopo il delitto, è stato diffuso un video in cui l'omicida - un 19enne bloccato da alcuni poliziotti - sostiene che l'ordine di uccidere Naseem gli sarebbe arrivato in sogno dallo stesso profeta Maometto. Una protesta è stata inviata dal Dipartimento di Stato americano, il cui vice-portavoce, Cale Brown, ha ricordato l'impegno di Washington per la liberazione di Naseem e ha chiesto al governo pachistano una riforma immediata dei provvedimenti antiblasfemia «frequentemente abusati». «Si tratta di un oltraggio alla magistratura e in generale allo stato di diritto», ha commentato Paul Bhatti, ex ministro federale per l'Armonia nazionale e le minoranze, fratello di Shahbaz Bhatti, ministro cattolico ucciso nel marzo 2011 per la sua difesa dei principi di uguaglianza e tolleranza in Pakistan. «La legge non permette di farsi giustizia da sé, quindi l'omicidio è un chiaro atto di sfida. Le autorità pachistane - prosegue Bhatti - devono emarginare quegli elementi che pretendono di farsi giustizia da soli per odio personale. Queste persone, così facendo, distruggono le fondamenta della società civile e si pongono anche contro lo stesso islam che invece sa esprimere valori e collaborazione con altre fedi». «Per questo - ha concluso - io e altri coinvolti nell'impegno per la giustizia e per la convivenza chiediamo a governo e autorità che siano prese misure per impedire questi fatti e la diffusione dell'odio religioso».
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