'Tutti i racconti' di Bernard Malamud Recensione di Claudio Marinaccio
Testata: Il Foglio Data: 25 luglio 2020 Pagina: 3 Autore: Claudio Marinaccio Titolo: «'Tutti i racconti' di Bernard Malamud»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 25/07/2020 a pag.3, la recensione a "Tutti i racconti” di Bernard Malamud, di Claudio Marinaccio.
La copertina (Minimum fax ed.)
Nelle infinite sfumature dell'opera di Bernard Malamud l'essere umano si trova costretto a distruggere le sue certezze, sfondando una parete di dogmi, imposizioni e costrizioni che ha ereditato lungo il percorso della sua esistenza. Al di là di quella parete non troverà, però, nessuna idilliaca certezza o effimera salvezza, ma solamente un'altra strada da percorrere e altre incertezze da vivere e subire. Un eterno ritorno in cui si nasconde l'essenza della vita, qualunque cosa essa sia. L'uomo al centro dei racconti di Malamud è perso, spaesato dall'incrocio tra culture - quella ebrea e quella americana - che si seducono anche quando sembrano odiarsi e si intersecano facendo nascere qualcosa di nuovo. E la prima cosa che emerge da questa fusione è l'utilizzo della lingua come strumento per far capire lo smarrimento: tra inflessioni yiddish mescolate a gergo americano e la creazione di un disagio emotivo dovuto all'incapacità di alcuni personaggi di esprimersi come e quando vorrebbero, pur avendo le nozioni per farlo. La comunicazione trascende il suo significato letterale per diventare un vero e proprio stato d'animo e un disorientamento emotivo. La complessità di Malamud è legata anche al continuo zigzagare tra comico e tragico in cui l'irruzione del soprannaturale di stampo prettamente favolistico ed ebraico serve a colorare ancora di più il reale, in un ossimoro concettuale che sembra funzionare alla perfezione attuando un semplice, quanto profondo, paradigma che sembra quasi, nella sua perfezione funzionale, un algoritmo: la condizione dell'ebreo di Malamud è quella di qualsiasi uomo. "Lei è forse ebreo?" "Lo sono stato per tutta la vita, di buon grado". Nell'universo antropocentrico di questa immensa (non tanto per dimensione ma per varietà narrativa e stilistica) raccolta di racconti i personaggi sono vivi anche per tutto quello che non viene raccontato esplicitamente, un'opera a sottrarre che crea vuoti che riempiono i personaggi di mancanze. Come scriverà Philip Roth nel suo ritratto di Malamud parlando di alcuni suoi racconti come "L'angelo Levine" e "Il Cavallo parlante": "Solo un soffio separava la barzelletta dall'arte, in cui il fascino dell'arte stava proprio nel modo in cui aleggiava ai margini della barzelletta". E in questa antologia, anche nella più triste e malinconica delle storie c'è un'eco lontana ed è quella provocata da una risata. Da qualche parte c'è qualcuno che ride di gusto per quello che sta succedendo, e lo fa senza farsi vedere da nessuno. Sarà Dio? Perché in fondo la vita è così: una tragedia divertente. E questo Malamud lo sapeva molto bene e questi racconti ce lo fanno capire anche a noi.
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