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Spinoza e l’invenzione della libertà Commento di Diego Gabutti
Maxime Rovere, Tutte le vite di Spinoza. Amsterdam 1677, l’invenzione della libertà, Feltrinelli 2020, pp. 432, 26,00 euro, eBook 14,99 euro. Quella che si combatte in Europa nel XVII secolo – e in particolare ad Amsterdam, dove una generazione di scienziati e nuovi filosofi, tra cui Bento (o Baruch, o Benedetto) Spinoza, mette la metafisica e le religioni vecchie e nuove alle corde – è una delle ricorrenti guerre cosmiche che impegnano l’umanità quando la storia, come si dice, è a un bivio, e lo è più o meno sempre. Spesso il bivio è solo immaginario, o sono immaginarie le strade che se ne dipartono, strade che dopo aver girato in tondo riconducono al punto di partenza, ma talvolta il bivio è reale. Qui, nell’Europa del Seicento si tratta puramente e semplicemente di decidere se i popoli sono pronti per la libertà, parola che solo adesso, dopo un oblio millenario, sta recuperando il suo antico significato, che nei lunghissimi secoli seguiti alla disfatta della civiltà classica è stato oscurato da pratiche superstiziose e messo in burletta da fumisterie teologiche. Nell’età di Spinoza e della guerra alla metafisica biblica ed evangelica, un’epoca che il filosofo e saggista Maxime Rovere racconta in presa diretta, con la tecnica del documentario e del romanzo insieme, il bivio è decisamente reale: di qua la Fede, di là la Ragione. Niente scorciatoie, nessuna via di mezzo, e soprattutto nessun compromesso con «la censura dei dominanti», né con «la stupidità umana». Dicevamo «strade», ma non ci sono strade. Spinoza e gli altri procedono a spanne, nel buio fitto, rischiando a ogni passo d’inciampare. Amsterdam, nel Seicento, è la culla del nascente pensiero laico, in filosofia come in politica. È il paese dei grandi anatomisti, del passaggio di testimone dagli alchimisti ai chimici, dell’esegesi biblica senza ridicolaggini né devozioni, dei nemici delle inquisizioni, degli amici della repubblica, della guerra ai tiranni. Guardati dapprima con sospetto, e presto attivamente perseguitati dalle autorità politiche e religiose, da chiese e sinagoghe, da cattolici e riformati, i filosofi e gli scienziati olandesi sono tacciati, quando va bene, di panteismo, cioè di chiamare «Dio» la natura, e quando va male d’ateismo, cioè di non accettare l’autorità della Tōrāh e della kabbalah, di negare la divinità di Gesù, di non ammettere la realtà (e tanto meno «l’evidenza») dei miracoli cristiani, di burlarsi dell’immortalità dell’anima. Ma a guastare la festa della filosofia, e a sabotarne i propositi, non sono soltanto le autorità tradizionali (per esempio la sinagoga di Amsterdam, che mette al bando e scomunica il giovane Spinoza, colpevole di «cattive opinioni» e di pessimo «comportamento»). Anche nei ranghi della stessa filosofia non mancano gli avversari della filosofia (gli apostati, i convertiti e i riconvertiti al cattolicesimo, al calvinismo e persino all’ebraismo, che tra tutte le possibili conversioni o riconversioni è di gran lunga la più spericolata, persino qui in Olanda, dove gli ebrei in fuga da Portogallo e Spagna non devono temere le imboscate degl’inquisitori).
Mai esattamente atei, non proprio panteisti, diretti verso un’inesplorata regione dello spirito che sta agli antichi regimi come l’America al vecchio mondo, è utilizzando le strane bussole della nuova filosofia (la matematica, le scienze sperimentali, la logica rigorosa) che Spinoza e gli altri cercano un sentiero percorribile. Avanguardie della modernità, pionieri dell’illuminismo, primi a écraser l’Infâme del fanatismo religioso e della superstizione, sono tutti personaggi straordinari. Franciscus Van den Enden, per esempio. Amico e insegnante di latino di Spinoza, libero pensatore, ex gesuita, cospiratore, Van den Enden «denuncia l’aberrazione della schiavitù, gli orrori della colonizzazione, le menzogne della Chiesa, la corruzione dell’aristocrazia, l’accecamento dei politici. Scrive un dialogo allegorico tra Madre Olanda e la sua Comare America in cui esplora possibili scenari futuri e proclama che i conti, i principi e le società per azioni non sono soltanto tiranni, ma anche ladri». Van den Enden, che all’autore del Trattato politico-teologico e dell’Etica non ha insegnato soltanto il latino ma anche lo scetticismo in materia religiosa, va incontro a un destino tragico: coinvolto in una congiura che si propone di liquidare Luigi XIV, Re di Francia, doppiamente colpevole, d’assolutismo in patria e d’oppressione in Olanda, detta ai tempi Repubblica olandese o Repubblica delle sette province unite, viene impiccato settantaduenne a Parigi. Sono tempi d’eroi, di grandi pensatori e anche di cialtroni.
Come il mistico Sabbatai Zevi, ebreo di Smirne, che è un falso messia, d’accordo, ma anche un autentico agitatore politico-religioso, e che non soltanto anticipa il programma del futuro movimento sionista convincendo molti ebrei, anche liberi pensatori, tra i quali molti olandesi, a lasciare l’Europa per la Palestina, ma che con la sua predicazione libertina e le sue spacconerie miracolistiche (un po’ da guru dei Beatles) anticipa di tre secoli buoni gl’incanti della sex revolution e gli abissi del new age. Trailer della modernità a venire, il Seicento in generale, e il Seicento olandese in particolare, ne anticipa anche la parabola. Spoiler: non vince la filosofia, ahinoi, ma vincono i suoi avversari. Non che i filosofi si facciano troppe illusioni. Spinoza, in conclusione della sua grande avventura, si rivolge così ai compagni non di fede ma di ragione: «Amici, giochiamo una partita che non ha ricompensa, né vittoria, niente. Non ci sbarazzeremo degli esseri umani così come sono. Non li correggeremo, non li istruiremo. Essi continueranno eternamente a nuocersi con le loro scempiaggini, manipolati dalle loro passioni. Noi ci proveremo di nuovo, e loro s’opporranno ancora e alla fine ce la faranno. Mai, sappiatelo, le brave persone saranno le più forti o le più numerose. È inutile immaginarsi alla guida dell’umanità. Ecco cosa significa questa frase di Seneca: la virtù è senza ricompensa». Se non si fanno illusioni i filosofi, perché dovremmo illuderci noi, stremati pronipoti dell’illuminismo, circondati come siamo da populisti sempre più sgangherati, sempre più incompetenti e superstiziosi, nemici della civiltà industriale, della società fondata sul diritto e sui diritti, seguaci dei segretari generali, di Black Lives Matter e del #MeToo, di neofascisti e postcomunisti, di tifosi degli ayatollah e dei Comici Elevati. Spoiler: ai nuovi filosofi di qualche generazione futura toccherà reinventare la libertà, che tornerà a essere (fortuna assistendoci) un’idea nuova in Occidente, come nell’Olanda indomita del XVII secolo.
Diego Gabutti |
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