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La Repubblica Rassegna Stampa
17.07.2020 La battaglia del Nilo: è crisi Etiopia-Egitto
Commento di Stefania Di Lellis

Testata: La Repubblica
Data: 17 luglio 2020
Pagina: 16
Autore: Stefania Di Lellis
Titolo: «La battaglia della diga. È crisi Etiopia-Egitto per le acque del Nilo»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/07/2020, a pag.16, con il titolo "La battaglia della diga. È crisi Etiopia-Egitto per le acque del Nilo", il commento di Stefania Di Lellis.

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Stefania Di Lellis

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La disputa del Nilo

Quando una diga finisce sulle magliette, vuol dire che ha smesso di essere un’opera idraulica ed è diventata un simbolo. La Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd) sul Nilo azzurro non è ancora funzionante, ma impazza sulle t-shirt, sulle borracce e sui social con l’hashtag “It’s my dam”, è la mia diga. Un costo di 4,8 miliardi di dollari, un decennio di lavori (che hanno visto impegnata la italiana Salini Impregilo) per divenire la più grande diga d’Africa. Con la capacità di generare 6,5 Gigawatts dovrebbe consentire ad almeno 65 milioni di etiopi delle zone rurali di accendere l’interruttore della corrente in casa e a un intero Paese di sognare il futuro, la Rinascita. Qualche giorno fa immagini satellitari hanno mostrato l’acqua nel bacino della Gerd lievitata da 525 a 560 metri. Abbastanza per scatenare le ire di Egitto e Sudan. Da anni i due Paesi si scontrano con l’Etiopia sulla costruzione e ora sul riempimento della diga del secolo. Addis Abeba rivendica il diritto di gestire le acque del Nilo azzurro che sgorga dai suoi altipiani. Il Cairo invoca il “diritto storico” a quei flutti e teme che la diga asseti gli egiziani dipendenti al 90% dal Nilo, a cui l’affluente Nilo azzurro fornisce l’86% della portata. A maggio il ministro degli Esteri egiziano ha ammonito il Consiglio di sicurezza Onu: «Un riempimento della diga senza un accordo che tuteli le comunità a valle potrebbe provocare crisi e conflitti che destabilizzerebbero la regione già turbolenta ». Gli analisti ritengono che la retorica “aggressiva” dovrebbe rimanere solo retorica. Troppo complicato un conflitto aperto in questo momento. Senza contare che Addis Abeba al Consiglio di sicurezza può contare sul favore di Pechino. Ma per adesso nessuno sembra fare un passo indietro. L’Etiopia l’altro ieri sembrava aver confermato l’inizio del riempimento della struttura, ma ieri il Sudan faceva sapere che l’innalzamento del livello dell’acqua era solo dovuto alle piogge e che le trattative vanno avanti. Khartoum dovrebbe trarre benefici dalla Gerd perché dovrebbe consentirgli di acquistare energia a buon mercato, ma la vicinanza della struttura al suo confine - meno di 20 chilometri - gli fa chiedere misure di sicurezza stringenti. I nodi da sciogliere tra Egitto ed Etiopia sono invece sostanzialmente due.

Il Cairo vuole che l’Etiopia sia obbligata a lasciar passare più acqua in caso di siccità e pretende norme precise di lungo periodo sulle modalità di riempimento del bacino. «Addis Abeba non vuole sentirsi obbligata a firmare niente che possa danneggiarla in futuro», spiega William Davison, esperto di Etiopia all’International Crisis Group. Sulle discussioni pesa il passato coloniale, quando con il beneplacito britannico fu siglato tra Egitto e Sudan un accordo per lo sfruttamento delle acque del Nilo con l’esclusione dell’Etiopia. L’Egitto trema. Uno studio del 2019 degli scienziati del Dartmouth College predice che il 35% delle persone lungo il corso del Nilo entro il 2040 subiranno penuria d’acqua a causa del cambiamento climatico. A febbraio gli inviati dell’Etiopia hanno bocciato un’intesa sponsorizzata dagli Usa perché ritenuta troppo pro-Egitto. Fumata nera anche all’ultima tornata sotto l’egida dell’Unione africana. Ma Addis Abeba ha più volte ribadito che il riempimento partirà comunque entro questo mese. Se non è in realtà già partito, come suggeriscono le foto. Il premier Abiy Ahmed, in carica dal 2018, ha ereditato la Gerd dai suoi predecessori. Il sogno era stato già accarezzato da Hailé Selassié negli anni ‘60, ma chi ne ha fatto una bandiera è stato Meles Zenawi che chiese alla popolazione di finanziare il progetto comprando azioni o donando – più o meno volontariamente – un mese di stipendio. Abiy Ahmed, inizialmente tiepido, ora è diventato un alfiere della diga. Che proprio con la sua potenza simbolica allaga notiziari e perfino canzoni. C’è chi la paragona alla battaglia di Adua. Al premier che l’anno prossimo ha un appuntamento elettorale importante gli avversari rimproverano di voler sacrificare la diga in omaggio alle potenze straniere. Gli scontri con vittime seguite all’uccisione a fine maggio di un popolare cantante Oromo hanno messo Abiy in una posizione ancora più scomoda. Ma lui ha giurato ai parlamentari che i programmi non subiranno ritardi: «Il desiderio di breaking news non ci farà distogliere dalla diga». L’idea che si fa strada è quella di iniziare il riempimento, ma continuando a trattare. Un equilibrismo difficile tra simboli e diplomazia.

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