Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/07/2020, a pag.17, con il titolo "La rivolta dei social ferma il boia di Teheran", la cronaca di Giordano Stabile.
A destra: i volti dei tre giovani condannati a morte
Giordano Stabile
Per una volta il Web è più forte del boia e blocca, almeno temporaneamente, l'esecuzione di tre attivisti arrestati dopo le proteste di massa dello scorso novembre. Succede in Iran, il secondo Paese al mondo per condanne a morte e nel pieno di una repressione senza precedenti. Ma il caso di tre giovani fra i 25 e i 27 anni, che negano di aver partecipato ad atti violenti e sono stati condannati in tutta fretta da un tribunale che «non ha neppure esaminato le carte», ha mobilitato come mai prima gli iraniani. La «piazza» dove questa volta sono scesi erano i social, Instagram e soprattutto Twitter, dove l'hashtag #do_not_execute è stato utilizzato oltre sette milioni e mezzo di volte per protestare contro la conferma della pena capitale da parte della Corte suprema. In soli due giorni una marea di manifestanti virtuali ha assediato le autorità giudiziarie. Ieri i vertici hanno ceduto e annunciato che le esecuzioni saranno sospese e gli imputati potranno chiedere una revisione del processo. Non è certo che la ottengano, come era sembrato in un primo momento, ma la pressione popolare sembra aver impressionato la leadership della Repubblica islamica, alle prese con un crollo dei consensi dovuto alla crisi economica e alla gestione dell'epidemia di coronavirus, con oltre 13 mila vittime.
All'ondata di tweet hanno contribuito anche star dello sport e dello spettacolo. Il calciatore Moasoud Shojaei si è rivolto alla Guida Suprema Ali Khamenei, al presidente Hassan Rohani e al capo dell'Autorità giudiziaria, Ibrahim Raisi: «Siate compassionevoli, fermate le esecuzioni di questi tre giovani come chiedono le loro famiglie e il popolo iraniano». L'attore Shahaab Hosseini ha scritto un messaggio dello stesso tenore «in nome del Profeta della misericordia», cioè Maometto. Dall'estero si è unito al coro il presidente americano Donald Trump, che avvertito come le esecuzioni sarebbero «un segnale terribile nei confronti del mondo». Le immagini delle impiccagioni, centinaia ogni anno, a volte con l'utilizzo di gru in mezzo alle piazze, gettano una luce sinistra sulla Repubblica islamica. Si sono intensificate dopo la rivolta contro l'aumento delle prezzo della benzina dello scorso novembre, repressa nel sangue, con almeno 300 manifestanti uccisi. Amnesty International ha denunciato i processi «farsa». E anche dieci esperti indipendenti dell'Onu hanno chiesto che vengano annullate le sentenze. Gli avvocati di Amirhossein Moradi, 25 anni, Mohammad Rajabi, anche lui venticinquenne, e Saeed Tamjidi, 27, non hanno potuto neppure esaminare i documenti e le prove a carico dei loro assistiti. Ma c'è anche un altro risvolto internazionale nella vicenda. Rajabi e Tamjidi erano fuggiti in Turchia dopo l'arresto di Moradi, nella speranza di evitare il processo. La loro richiesta di non essere rispediti in patria nel timore di una condanna a morte, poi puntualmente arrivata, è stata bocciata, in violazione di un principio internazionale che vieta l'estradizione in Paesi dove l'imputato rischia la pena capitale.