Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/07/2020, a pag.11, con il titolo "Walesa: 'La Polonia si unisca per salvarsi dal nazionalismo' ", l'intervista di Andrea Tarquini a Lech Walesa.
Andrea Tarquini
Lech Walesa
«Adesso, come quando quarant’anni fa fondammo Solidarnosc, dobbiamo unirci e ispirarci come allora a valori comuni. Così salveremo Polonia ed Europa da nazionalismo, dall’odio contro le minoranze e dai minacciosi demoni del passato». Alla vigilia del secondo turno delle presidenziali oggi in Polonia, in quest’intervista con La Repubblica , Lech Walesa, fondatore di Solidarnosc, leader della rivoluzione che nel 1989 avviò la caduta del Muro, Nobel per la pace e primo presidente polacco eletto, si schiera con il sindaco di Varsavia liberalconservatore ed europeista Rafal Trzaskowski che sfida il leader uscente sovranista Andrzej Duda.
La società civile polacca può vincere al ballottaggio? «Se Trzaskowski vincerà, la Polonia avrà una chance, altrimenti continueremo a comportarci come un Paese folle, con ogni sgradevole conseguenza in Europa».
Le opposizioni così eterogenee hanno fatto abbastanza per sostenere Trzaskowski? «Noi oppositori avremmo dovuto accordarci ben prima su un candidato unico della società civile. Chiaro, inizialmente ogni partito presenta il suo candidato. Ma poi chi ha le migliori chance di vincere va appoggiato da tutti».
Quali slogan e strategie aiuteranno l’opposizione? «Non ci servono slogan, non abbiamo vissuto abbastanza a lungo in democrazia. La società non conosce i politici, non si fida di loro. Il Paese deve imparare a vivere in democrazia per acquisire fiducia negli standard democratici. Ecco perché Trzaskowski fa sperare. Insisto, dobbiamo convincere la gente a mobilitarsi per i valori comuni, forse un giorno ci riusciremo».
Omofobia, campagna anti-Lgbtq usate oggi come l’antisemitismo nel passato, slogan anti-Ue... Quanto è pericoloso il radicalismo del partito di maggioranza PiS? «Abbiamo vissuto tempi in cui ogni nazione europea partecipava a una corsa tra ratti tra Stati nazionali. Era l’era delle guerre. Quella retorica funzionava in quel contesto. È pericolosa, ma ci vorrà tempo prima che la gente lo capisca. Temo che la udiremo ancora per un paio d’anni in Europa. Non abbiamo soluzioni per il futuro. La politica aborre il vuoto e così si svegliano i fantasmi del passato. Quegli slogan discriminatori e d’odio non sono altro che i pericolosi dèmoni del passato».
Perché la Chiesa polacca con Wojtyla lottava per i valori liberalconservatori europei moderni e oggi no? «Oggi la gerarchia ecclesiastica è fatta di gente semplice: è spaventata dalla possibile perdita d’influenza della Chiesa in Occidente e tenta di conservare il suo ruolo nella società. L’intellettuale Giovanni Paolo II era diverso: nel 1978 ci avvicinavamo al secondo millennio della cristianità, per lui era cruciale liberarci dal comunismo. Risvegliò le nazioni per la lotta per la libertà. Oggi è tempo di purificare la Chiesa da molti peccati, prima nascosti. Papa Francesco ci sta provando. Una parte della Chiesa polacca vuole purificarsi, altre no».
Chi vince nello scenario mondiale col ballottaggio polacco: la Ue, Trump, Putin, Orbán? «Nessuno. È il tempo del coraggio. Bisogna dialogare sull’èra nuova. L’èra vecchia era dominata dagli Stati nazionali. Oggi dobbiamo rispondere a tre sfide: primo, quali sono i valori comuni per il futuro? Non è più tempo di valori nazionali contrapposti. Secondo, dobbiamo accordarci sul sistema macro — economico futuro, anche l’economia non può più essere solo nazionale. Terzo, rifiutare la menzogna e le fake news in politica. E osservo che chi non ha più timore di Dio arriva anche a distruggere statue».
Il ballottaggio le dà speranza? «La Polonia ha avuto un ben breve periodo di democrazia. Anche le società occidentali dimenticano i valori costitutivi della democrazia: un ordine sociale dove i migliori, i più onesti vengono scelti per rappresentarci. Presidenti e legislatori non possono essere corrotti, mentire o rubare, l’integrità morale deve tornare un valore comune costitutivo. Tutti noi europei dobbiamo lavorare più a fondo per gli standard democratici».
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