Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 09/07/2020, a pag. 34, con il titolo "Contro l’intolleranza culturale", il commento di Alberto Flores D'Arcais; dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, con il titolo " 'Una nuova intolleranza': La rivolta degli intellettuali che non si rassegnano", il commento di Pierluigi Battista.
Stupisce, nella lista dei firmatari della lettera-appello, la presenza di Noam Chomsky, di solito pronto a unirsi alle campagne più estremiste, non a difendere le libertà sotto attacco da parte del politically correct. Che distrugge le libertà civili - spesso intere vite- imponendo nelle democrazie occidentali l'ideologia che era alla base delle società dominate dal comunismo-nazi/fascismo.
Ecco gli articoli:
LA REPUBBLICA - Alberto Flores D'Arcais: "Contro l’intolleranza culturale"
I volti di alcune delle personalità che hanno aderito alla lettera-appello
Una lettera-petizione firmata da 153 intellettuali contro la «cancellazione della cultura» e per tenere vivo «il libero scambio di informazioni e idee», linfa vitale delle democrazie, che diventa «ogni giorno più stretto». L’idea è scattata nel pieno delle rivolte e delle proteste seguite all’uccisione di George Floyd, quando James Bennett, il direttore delle pagine editoriali del New York Times ha dato le dimissioni, alcuni giorni dopo aver pubblicato un articolo di opinione scritto da un senatore (repubblicano) che chiedeva «una risposta militare ai disordini civili nelle città americane». «Dopo che Bennett è stato costretto ad andarsene, è iniziato tra me e altri uno scambio di email sulla situazione culturale generale che si era venuta a creare, visto che oltre al New York Times ci sono stati diversi altri casi di intolleranza culturale ». Mark Lilla, storico delle idee e professore alla Columbia University non parla solo di giornalisti allontanati per articoli controversi, ma anche di libri ritirati dal commercio per presunte falsità, di professori indagati per aver citato in classe opere letterarie, di leader di organizzazioni cacciati per quelli che a volte sono solo errori maldestri. Insieme allo scrittore Thomas Chatterton Williams e ad altri amici ha lanciato l’idea di una petizione. «Abbiamo avuto un’immediata e insperata risposta da parte di scrittori, accademici, giornalisti — continua Lilla — Ora ci impegneremo tutti perché queste cose non accadano di nuovo ». I nomi raccolti coprono lo spettro intellettuale (e ideologico) più diverso. Da un campione della sinistra radicale come Noam Chomsky a un conservatore come David Brooks, da scrittori famosi come Salman Rushdie e J.K Rowling a intellettuali e saggisti politici come (oltre a Mark Lilla), Paul Berman, Michael Ignatieff, Michael Walzer e Ian Buruma. Ci sono giornalisti-opinionisti come Fareed Zakaria e David Frum ( speechwriter di George W. Bush) critici e biografi come Deborah Solomon. C’è il nome di Garry Kasparov, nemico giurato di Putin, uno scrittore come Khaled Khalifa, un giornalista (e scrittore) come Roger Cohen del New York Times o il direttore di Persuasion Yascha Mounk. C’è una famoso jazzista come Wynton Marsalis, ci sono intellettuali come Gloria Steinem e Anne Applebaum. Un documento di 532 parole che è una risposta diretta alle sei settimane che hanno sconvolto, giornali, media di vario genere e istituzioni culturali americane, nei quali si sono avute un’ondata di licenziamenti e di dimissioni, più o meno coatte. Un’iniziativa lanciata negli Stati Uniti su Harper’s Magazine online — che Repubblica ha in esclusiva per l’Europa insieme a Die Zeit e Le Monde — destinata a fare discutere, a creare inevitabilmente nuove polemiche e a dividere una sinistra che sui temi del politicamente corretto è già da tempo molto lacerata.
CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista: " Una nuova intolleranza': La rivolta degli intellettuali che non si rassegnano"
Pierluigi Battista
È una rivolta contro le intimidazioni, contro l’ondata censoria che rischia di sommergere non solo in America università e giornali, contro il ricatto morale di chi consiglia il silenzio e l’omertà sulle nuove e violente forme di intolleranza per non dare armi e pretesti a Trump. Decine di scrittrici e scrittori, intellettuali, artisti dicono in un appello che la doverosa battaglia contro il razzismo e contro la politica del presidente degli Stati Uniti accomodante con i gruppi che del suprematismo bianco fanno una bandiera non può nascondere i pericoli di un nuovo fanatismo oramai sempre più spavaldo e prepotente, di una nuova ideologia manichea e brutalmente estremista che nel nome del Bene distrugge ogni opinione differente, ogni obiezione critica, ogni dissenso. Da Martin Amis a Margaret Atwood, da Salman Rushdie a Anne Applebaum, da John Banville a Noam Chomsky, da Khamel Daoud a Jeffrey Eugenides, e poi Ian Buruma e Olivia Nuzzi, Michael Ignatieff e Paul Berman, Michael Walzer e JK Rowling, solo per citare alcuni dei più famosi, circa 150 intellettuali escono allo scoperto per difendere i principi della libertà d’espressione minacciata non da una censura poliziesca tipica delle dittature, ma da una forma pervasiva e violenta di intolleranza che non si limita a mettere il bavaglio ai contemporanei, ma vuole fare tabula rasa del passato, di tutti gli autori che dall’antichità non si sono piegati ai dettami della nuova inquisizione che vede ogni opinione difforme un delitto, in ogni rappresentazione artistica e culturale anche del passato un attentato malvagio alle vittime dell’oppressione. Il pensiero corre alla statua di Cristoforo Colombo abbattuta, a quelle di Abraham Lincoln, il presidente che ha abolito la vergogna della schiavitù, o di Winston Churchill, l’eroe della battaglia contro Hitler, cioè del vertice del razzismo, deturpate o vandalizzate, oppure al linciaggio cui è stata sottoposta JK Rowling, l’autrice di Harry Potter, indicata al ludibrio come persecutrice dei transgender per aver difeso il principio dell’identità biologica delle donne e soprattutto, questo è il punto, per essere intervenuta in difesa di una donna che aveva perso il posto di lavoro, licenziata in un attimo, per aver sostenuto analoghe opinioni. Una circostanza, appunto, in cui un’opinione diversa, discutibile come tutte le opinioni, viene equiparata a una manifestazione di malvagità, ispirata dalle peggiori intenzioni e dunque meritevole di essere punita. La libertà d’opinione è messa a dura prova se le persone vengono liquidate, come Ian Buruma alla New York Review of Books, per aver pubblicato posizioni dissonanti, come se il conflitto delle idee, la discussione aperta, anche aspra, ma libera e tonificante, la battaglia culturale condotta lealmente, argomento contro argomento, tesi contro tesi, non fosse l’ossigeno delle società democratiche fondate sul pluralismo e non sul manicheismo di una lotta tra un Bene e un Male da censurare. Una deriva pericolosa che in alcune università americane è sfociata nella messa al bando di opere di Shakespeare, come il «Tito Andronico», accusate nientemeno di essere neanche tanto inconsapevolmente un’apologia dello stupro, o di Euripide e di Sofocle, fino all’espulsione tra i piani di studio del «Grande Gatsby», delle opere di Hemingway e naturalmente, come poteva mancare?, di «Lolita» di Nabokov. Ma anche, per esempio, al divieto a Londra di esporre opere di Egon Schiele, già perseguitato un secolo fa a Vienna per «oscenità» e i cui nudi oggi rappresenterebbero secondo la nuova Inquisizione una diminuzione sessista dell’immagine della donna. Ora, con questo appello, per la prima volta gli intellettuali cercano di mettere un argine a questa deriva di intolleranza, con un gesto coraggioso di cui i firmatari sono pienamente coscienti, e infatti già si avvertono i primi segni di timide marce indietro per prevenire eventuali attacchi. È la prima volta, ma importante. Gli intolleranti potrebbero cominciare a non avere vita facile.
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