Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 08/07/2020, a pag. 32, con il titolo "Gli ultimi giorni di Gobetti", l'analisi di Paolo Mauri.
Paolo Mauri
Piero Gobetti nel disegno di Felice Casorati
Nel 1948 la casa editrice De Silva di Torino pubblicò un’antologia della rivista di Piero Gobetti, La Rivoluzione liberale , a cura di Nino Valeri. Era il terzo volume di una collana intitolata a Leone Ginzburg: il secondo volume era Se questo è un uomo di Primo Levi, che divenne celebre molto dopo, in edizione Einaudi. La cronaca diventava storia. A dirigere la De Silva era, come si sa, Franco Antonicelli, testimone prezioso di quegli anni. Sarà ancora lui a mettere insieme, sotto il titolo L’editore ideale , alcuni scritti sparsi di Gobetti, usciti nel ’66 da Scheiwiller. L’ultimo di questi scritti, ritrovato in un taccuino che Gobetti portava con sé a Parigi, fu pubblicato nel 1926 dal Baretti che lo intitolò Commiato . Comincia così: «L’ultima visione di Torino: attraverso la botte di vetro traballante che va nella neve: dominante l’enorme mantello del vetturino (che è l’ultima sua poesia). Saluto nordico al mio cuore di nordico». Parte idealmente da qui Le nevi di Gobetti , il suggestivo libro- mosaico che Bruno Quaranta ha dedicato agli ultimi giorni di Piero (Passigli editore), recuperando, come in una ideale moviola, passo dopo passo, il percorso da via Fabro 6, dove abitava, alla Stazione di Porta Nuova dove avrebbe preso il treno per Parigi. Era la terza volta che andava nella capitale francese, ed anche l’ultima, perché lì, distrutto il fisico dalle aggressioni fasciste, sarebbe morto poco dopo, nella stessa clinica dove era ricoverato Giovanni Amendola, anche lui bastonato dalle camicie nere. A via Fabro, ma al numero 8, aveva abitato Gozzano. Ricostruendo il percorso della «botte di vetro», corso Siccardi, via Cernaia, piazza Solferino, Quaranta fa parlare i luoghi, evoca incontri, rilegge pensieri di Gobetti. Davanti al teatro Alfieri è inevitabile ricordare il Gobetti critico teatrale dell’ Ordine Nuovo di Gramsci. Umberto Terracini ricordava Piero che arrivava al giornale dopo lo spettacolo e scriveva velocissimo il pezzo, in dieci minuti, un quarto d’ora al massimo. Arrivati al Caffè degli Specchi è giocoforza ricordare la beffa fatta alle camicie nere che lo inseguivano per malmenarlo: si sedette con la moglie ad un tavolino esterno. I fascisti entrarono e spaccarono tutto, ma non degnarono di uno sguardo la coppia al tavolino. A piazza San Carlo, ecco un ricordo di Andrea Viglongo, capocronista dell’ Ordine Nuovo e poi editore. Fu lui a presentare Gobetti a Gramsci. «Molti», racconta Viglongo, «saranno sorpresi sapendo che quando aveva appena vent’anni chiese di acquistare il Chiosco librario di Giusto Conte in piazza San Carlo, il più grande di Torino e che questi si rifiutò di venderlo ». Gobetti aveva sempre avuto un forte interesse per i libri, e aveva anche trattato l’acquisto della Libreria Petrini, senza riuscire a concluderlo. Anche a Parigi pensava di fare l’editore.
La «botte di vetro» imboccò via Po, la via dell’Università, dove insegnava Francesco Ruffini. Alessandro Galante Garrone ricordò come respinse l’invito a tacere fattogli trovare dai fascisti sul pulpito in aula. «Qui un cane ha lasciato la sua museruola». Da via Po si entra in piazza Vittorio, dove aveva il suo studio Carlo Levi. Racconta Quaranta: «Il pittore finì di disegnare la copertina di America primo amore mentre i questurini attendevano di condurlo in carcere, il carcere tetro. "Adesso, se permette, dovrei finire la copertina del libro di Soldati… devo spedirlo oggi a Firenze, per la pubblicazione. Intanto, loro possono continuare" », concluse accennando ai poliziotti che stavano frugando dappertutto. Il viaggio della "sitadina" continua. Quaranta vorrebbe farlo durare ancora e ancora, mentre si affollano le memorie. Ecco di nuovo Levi a ricordare come il giovanissimo Gobetti fosse andato in Liguria in bici e anche al mare, testimone Edmondo Rho, non ammetteva indugi e leggeva e studiava come sempre. Poi si arriva a Porta Nuova. Eccoci al treno, terza classe. Il treno non passò da Genova, come Montale credette di ricordare, ma valicò il confine a Modane. A Parigi Gobetti andò a cena a casa di Francesco Saverio Nitti, ex presidente del Consiglio, esule dal 1924 con tutta la famiglia. Piero stava già malissimo e tossì per tutta la sera. Fece visita, in quei giorni anche a Prezzolini, che aveva soprannominato Ponzio Pilato, per il suo atteggiamento ambiguo nei confronti del fascismo. Poi le cose precipitarono e arrivò la fine. Sulla tomba di Piero al Père-Lachaise vigila ora il Centro di Studi intitolato a Gobetti.
E l’eredità di Gobetti? Beh, non è ancora stata spesa e ancora adesso il fascismo visto come autobiografia della nazione ci dice e allarma molto. Nel ’78 Natalino Sapegno scriveva per questo giornale un articolo in cui ricordava Il Baretti , la rivista che Gobetti poté solo avviare e che gli sopravvisse qualche anno. Sapegno aveva conosciuto Piero quando tutti e due (erano coetanei) concorrendo ad una borsa di studio si erano trovati ad affrontare una prova di greco e avevano consegnato la traduzione dopo appena un quarto d’ora, senza neanche aprire il dizionario. Per Il Baretti , Gobetti aveva chiesto a Sapegno di scrivere l’articolo di apertura, dedicato a Benedetto Croce. Gli aveva dato quindici giorni di tempo. Gobetti stesso firmava l’editoriale intitolato "Illuminismo", un tema che anche ora, un secolo dopo, è ancora lì, a fare da spartiacque.
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