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Il Foglio Rassegna Stampa
08.07.2020 I crimini di Kataib Hezbollah in Iraq
Analisi di Daniele Raineri

Testata: Il Foglio
Data: 08 luglio 2020
Pagina: 1
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Uno sparo sull'uscio»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 08/07/2020, a pag.1, con il titolo "Uno sparo sull'uscio", l'analisi di Daniele Raineri.

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Daniele Raineri

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Qassem Soleimani con Ali Khamenei

Roma. Avete presente quando in una discussione su arabi e democrazia l'interlocutore vi dice che tanto gli arabi e la democrazia non vanno bene assieme? Che c'è una incompatibilità di fondo? Ecco, in realtà il punto che l'interlocutore non coglie è che ci sono forze attive che spingono in senso contrario e si oppongono con ogni genere di mezzo, anche il più violento, con il preciso scopo di non far funzionare le democrazie nei paesi arabi e ci sono forze, spesso più deboli, che invece tentano di farle funzionare. Ho scritto “forze attive” ed è una definizione generica, ma posso essere più preciso. Una di queste forze attive era il generale iraniano Qassem Suleimani, che da noi è trattato come un santino dell'anti imperialismo ma in medio oriente aveva la fama di macellaio - che si era guadagnato nel corso di quindici anni di guerre in altri paesi, dall'Iraq alla Siria. Suleimani era una di quelle forze che impediscono alla democrazia di funzionare in medio oriente - e ci riesce anche oggi da morto. Lunedì sera un commando di uomini armati ha ucciso il ricercatore iracheno Hisham al Hashemi sotto casa sua, a Baghdad.

Hashemi era uno studioso di gruppi terroristici, aveva un archivio di informazioni enorme a proposito dello Stato islamico e però, come tutti gli iracheni che hanno uno sguardo critico sul proprio paese, vedeva il problema delle milizie sciite. Con le sue opinioni informate e i suoi modi affabili, era una di quelle entità deboli che tentano di far funzionare le cose. Le milizie create da Suleimani sono incistate nelle forze di sicurezza dell'Iraq ma obbediscono a un principio antipatriottico e fanno gli interessi dell'Iran. Una delle più pericolose è Kataib Hezbollah, che a dicembre si è distinta negli attacchi brutali contro il sit-in dei giovani che protestavano in piazza, con accoltellamenti, rapimenti e stupri. E' la stessa milizia che spara razzi contro le poche basi americane rimaste - è un atto senza senso, perché gli americani sono ancora lì con il compito di aiutare gli iracheni nella lotta allo Stato islamico (il gruppo terroristico sunnita). Una settimana fa il nuovo primo ministro dell'Iraq, Mustafa al Kadhimi, ha ordinato un raid contro una base di Kataib Hezbollah.

Al Khadimi è arrivato al potere a maggio, è l'ex capo dei servizi segreti quindi è abituato a bilanciare ogni cosa, non è a prescindere contro l'Iran ma si rende conto che se continuano i lanci di razzi e gli attacchi perderà il contatto con gli Stati Uniti e il resto dell'occidente (i razzi piovevano anche sugli italiani prima che il contingente fosse ritirato a marzo) e quindi ha ordinato l'operazione per tentare di mettere un freno. La totale impunità deve cessare. Il raid contro Kataib Hezbollah è stato compiuto dalle unità anti terrorismo, che sono considerate filoamericane perché sono state addestrate dagli americani, e negli anni passati hanno portato il peso del grosso della guerra contro lo Stato islamico. Ricordarselo, quando si legge che “Suleimani ha salvato il paese dall'Isis”. Non è proprio così. Al Hashimi conosceva il primo ministro al Kadhimi, aveva fatto dichiarazioni pubbliche contro le milizie sciite e grazie alla sua competenza a proposito dello Stato islamico era in rapporti di lavoro con molti giornalisti internazionali (anche in alcuni pezzi sul Foglio ci sono sue risposte). Chi lo ha ammazzato sapeva che l'omicidio non sarebbe passato inosservato e che anzi avrebbe avuto una vasta eco al di fuori dell'Iraq. E così, mentre c'è un confronto aperto fra la milizia creata da Suleimani e il primo ministro iracheno, un ricercatore molto in vista è stato abbattuto fuori da casa sua con un'operazione che ricorda la camorra. Non ci sono prove per ora per dire chi lo ha compiuto.

Ma i sospetti contro le milizie sono molto forti. Il messaggio potrebbe essere: comandiamo noi, siamo abbastanza forti da sparare razzi sulle basi americane e da uccidere gli iracheni più in vista. Dopo l'omicidio sono spuntate un paio di rivendicazioni da parte dello Stato islamico, ma sono entrambe false (sono false perché non sono apparse sui canali ufficiali dello Stato islamico che analisti e giornalisti tengono d'occhio e perché la contraffazione anche visiva è grossolana). Chi ha confezionato le rivendicazioni contraffatte non si è sforzato di farle credibili. Intanto i canali non ufficiali dello Stato islamico festeggiano la morte del ricercatore: un impiccione di meno. La morte di al Hashimi arriva ultima in una lunga sequenza di altri omicidi in Iraq, sempre di persone che in qualche modo davano fastidio alle milizie. Giornalisti, attivisti e anche star di Instagram che per la loro fama irritavano i filoiraniani. Questo sistema delle milizie impedisce al paese di funzionare, diciassette anni dopo la fine del dittatore Saddam Hussein. Lo corrode, con la violenza e le intimidazioni. Non è un sistema creato dall'occidente o dall'America, è un sistema creato dall'Iran. E' una situazione evidente a chiunque, ma a Baghdad se ne parli finisci ammazzato.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@ilfoglio.it

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