A Beirut nel covo di Hezbollah Cronaca di Pietro Del Re
Testata: La Repubblica Data: 06 luglio 2020 Pagina: 19 Autore: Pietro Del Re Titolo: «Nel feudo Hezbollah a Beirut miseria e culto dei martiri: 'Ma poi Teheran ci sfamerà'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 06/07/2020, a pag. 19, con il titolo "Nel feudo Hezbollah a Beirut miseria e culto dei martiri: 'Ma poi Teheran ci sfamerà'", la cronaca di Pietro Del Re.
Pietro Del Re
I tentacoli iraniani sul Medio Oriente
Gli edifici si fanno improvvisamente più malconci, alzi gli occhi e tra le case penzolano centinaia di fili elettrici mentre molti bambini che vedi giocare in strada sono scalzi. Appena varcato l’ultimo check-point verso il quartiere controllato da Hezbollah, nel settore meridionale della capitale libanese, il cambio di scenario è radicale. In questa zona di Beirut che conta un milione di abitanti la normalità è fatta di degrado, con paesaggi che dirigendosi verso la periferia si fanno sempre più miseri e più opprimenti. Risplendono soltanto i ritratti dei tanti leader e dei tanti martiri riconosciuti dall’organizzazione politico-militare sciita del Partito di Dio, dall’ayatollah Khomeini all’«eroe delle due guerre contro Israele» Imad Mughniyah. Li incroci ovunque, sulle pareti dei palazzi, sulle T-shirt che indossano i ragazzi o sul cruscotto delle auto, raramente sorridenti ma sempre con un’espressione assorta o accigliata, raffigurati in gigantografie, poster, murales o santini da tasca. Questo quartiere grande come una città si chiama Al Dahieh e a farci da guida è Ali Chahrour, proprietario di un negozio di articoli sportivi che in passato ha ricoperto un ruolo di amministratore locale. In ogni bar, negozio o famiglia dove ci accompagna raccogliamo le stesse drammatiche testimonianze sulle conseguenze della crisi finanziaria che da mesi strangola l’economia del Libano. «I prezzi di tutte le merci sono schizzati alle stelle e se le riparazioni e le manutenzioni possono aspettare, si deve pur mangiare due volte al giorno, perciò a casa mia da settimane ci nutriamo solo di riso e cetrioli», si lamenta un giovane meccanico. Ogni volta, prima di congedarci, Chahrour promette a tutti che entro un paio di settimane i problemi alimentari saranno finalmente risolti: «Hezbollah ha detto che distribuirà al nostro popolo il cibo che sta arrivando dall’Iran». Con il Paese in bancarotta è fortemente cresciuto il numero di libanesi che vive sotto la soglia della povertà, passando dal 30% del 2019 al 45% di quest’anno e raggiungendo cioè statistiche da quarto mondo. Ed è in questo vasto quartiere che molti nuovi poveri sono appena stati recensiti. «Ma Hezbollah ci aiuta fornendo farmaci gratis e consentendoci dei prestiti a tassi ridicoli, e ciò non dall’inizio della crisi attuale ma da decenni», aggiunge Chahrour che nutre nei confronti del Partito di Dio una sorta di venerazione mista a una buona dose di paura. Tanto che non osa neanche avvicinarsi al suo quartier generale con a bordo della sua auto un giornalista occidentale, per di più senza il permesso d’ingresso nel quartiere rilasciato dal servizio stampa dell’organizzazione. Finalmente lo convinciamo a fermarci davanti a una sorta di sala concerti dove Hezbollah organizza i suoi meeting pubblici. Tre uomini dall’aspetto ferino ma dai modi cordiali ci parcheggiano per più un’ora in un ufficio polveroso, nella sede che in un’altra era ospitava il Collège Saint Joseph, per poi informarci che nessun rappresentante è autorizzato a incontrarci. Lo stesso accade poco dopo alla sede dell’emittente di Hezbollah, l’Al Manar tv, riconosciuta come «entità terroristica globale» e bandita dagli Stati Uniti nel 2004. Riusciamo finalmente a intercettare Kassem Kassir, un intellettuale molto vicino a Hezbollah, secondo il quale tutte le colpe della crisi sono ascrivibili alla perfidia di Washington: «Vuole punire il governo di Hassan Diab perché è appoggiato da Hezbollah, ma così facendo colpisce tutti i libanesi. Ciò significa che per trovare una soluzione ci rivolgeremo a Paesi quali Russia, Cina e Iran». Quando gli chiediamo se, dopo la vittoria in Siria dove assieme a Mosca e Teheran ha salvato il presidente Bashar al Assad, l’esercito di Hezbollah aprirà un secondo fronte contro Israele sul Golan, Kassir è categorico: «No, in quella regione c’è una stabilità che ci soddisfa. Entreremo in guerra solo se saranno gli israeliani a cambiare le carte. Quanto alla Siria, siamo determinati a rimanerci, anche se i russi vorrebbero limitare le nostre azioni militari e quelle dei nostri amici iraniani». L’ultimo martire entrato nel pantheon sciita è il generale iraniano Qasem Soleimani che, secondo voci non confermate, gli ameri cani avrebbero ucciso lo scorso gennaio all’aeroporto di Bagdad perché stava preparando un grosso attentato proprio a Beirut per poi addossarne la colpa agli Stati Uniti. Convocato dalla guida suprema Ali Khamenei, sempre più preoccupata per le rivolte sociali che in autunno agitavano oltre all’Iran anche gli altri due Paesi satelliti della Repubblica islamica, ossia il Libano e Iraq, Soleimani le avrebbe proposto con un attacco particolarmente cruento di dirottare la rabbia nata contro le autorità verso il nemico di sempre, ossia l’America.
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