Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 02/07/2020, a pag.29 con il titolo "Se l'antisemita è di sinistra" l'intervista di Enrico Franceschini.
Enrico Franceschini
Keir Starmer
Inutile negarlo: la sinistra ha storicamente un “problema ebraico”. L’ultima prova è il tweet di Rebecca Long-Bailey, ministra del governo ombra laburista britannico, che ha accusato falsamente Israele di addestrare la polizia Usa al soffocamento con le ginocchia, pratica costata la vita all’afroamericano George Floyd, l’evento che ha scatenato le proteste e le rivolte del movimento Black Lives Matter. Ma il problema viene da lontano. «Quel tweet è il sintomo di un vecchio pregiudizio che spinge alcuni progressisti, in tutto il mondo, a vedere negli ebrei e nello Stato ebraico la fonte di ogni male», afferma il professor Dave Rich, direttore del Pears Institute for the Study of Antisemitism alla Birkbeck University di Londra e autore di The left’s Jewish problem: il problema ebraico della sinistra. Che il suo libro analizza, nella speranza di poterlo risolvere.
Esiste un antisemitismo di sinistra, professor Rich, e che cos’è? «L’antisemitismo di sinistra non ha niente a che vedere con il ben noto, razzista e violento antisemitismo di destra. Deriva piuttosto da un modello di pensiero che divide il mondo in oppressi ed oppressori, assegnando quest’ultima etichetta agli ebrei, visti come popolo ricco, potente e manipolatore. Se vi si aggiunge l’ostilità verso il sionismo e verso Israele, è un sentimento che sconfina in qualcosa di molto più di una legittima opposizione alle politiche dello Stato ebraico, incorporando gli antichi stereotipi antisemiti e le classiche teorie della cospirazione».
Il tweet di Rebecca Long-Bailey ne rappresenta un degno esempio? «È un episodio rivelatore dell’atteggiamento diventato una norma completamente accettabile nel Labour sotto la leadership di Jeremy Corbyn. Non si tratta soltanto del fatto che Long-Bailey ha ritwittato un’affermazione antisemita senza pensarci due volte: anche la sua giustificazione a posteriori evidenzia l’incomprensione di fondo della questione. La deputata ammette che nel tweet c’era qualcosa di sbagliato, ma insiste che ciò non deve cancellare gli altri validi aspetti del messaggio: come se l’antisemitismo fosse una minuzia. Beninteso, non penso che Long-Bailey sia antisemita. Ma è incapace di vedere il problema della sinistra riguardo all’ebraismo. Licenziandola immediatamente dal governo ombra dell’opposizione, Keir Starmer, il successore di Corbyn, ha dimostrato cosa sia la tolleranza zero verso l’antisemitismo».
Invece Corbyn è antisemita? «No. Ma per cinque anni non ha risolto il problema del crescente antisemitismo nel suo partito. E il motivo è chiaro: il background politico del radicalismo di sinistra anni ’70 da cui proviene Corbyn include quella visione degli ebrei di cui dicevo prima, i banchieri potenti e manipolatori, la lobby ebraica che trama dietro le quinte, l’ossessione di dare tutte le colpe a Israele».
Sui social media, anche in Italia, alcuni militanti di sinistra affermano che, se uno dice qualcosa di spiacevole su Israele, viene subito tacciato di antisemitismo. «Una reazione tipica di una certa sinistra, incapace di riconoscere in sé stessa la predisposizione automatica a vedere Israele come l’origine di ogni male. Perfino davanti a un caso così lampante come il razzismo in America, con la sua lunga e atroce storia di oppressione, qualcuno riesce a vedere lo zampino dello Stato ebraico in un atto orribile come l’omicidio di George Floyd».
Pure dentro al movimento Black Lives Mattter non mancano voci che dicono: in Gran Bretagna non si può parlare male di Israele, la lobby ebraica lo impedisce. «Black Lives Matter è un vasto movimento che si batte per un nobile ideale, con cui tutti dovrebbero essere d’accordo. Ma al suo interno ci sono gruppi con un’agenda più ampia, che include posizioni antisemite. In Gran Bretagna le associazioni ebraiche sono state dall’inizio in prima fila a sostenere Black Lives Matter. Così come gli ebrei furono da sempre a fianco delle lotte per i diritti civili dei neri americani, considerando Martin Luther King un alleato nella lotta contro tutti i razzismi. Ciò non deve impedire tuttavia di segnalare una posizione antisemita, se la vediamo, come nel caso del tweet di Rebecca Long-Bailey».
L’antisemitismo di sinistra deriva anche dal legame storico che la sinistra europea ha avuto durante la guerra fredda con l’Unione Sovietica? «Sicuramente. Nel conflitto medio-orientale, l’Urss sosteneva i paesi arabi, osteggiava Israele e aveva posizioni antisioniste, che spesso diventavano antisemite. Così il legame con Mosca di partiti e gruppi della sinistra radicale europea ha finito per andare oltre la fratellanza comunista, adottando posizioni in linea con il vecchio antisemitismo stalinista. Del resto, la controversa risoluzione dell’Onu del 1975 che equiparava il sionismo con il razzismo fu uno dei colpi meglio riusciti della propaganda sovietica».
A sinistra c’è chi distingue, sostenendo che essere antisionisti non significa essere antisemiti. «In teoria è una distinzione possibile. Si può essere ostili al sionismo, cioè all’esistenza dello stato di Israele, senza per questo essere antisemiti, cioè ostili agli ebrei. Ma un paio di anni fa abbiamo fatto un grande sondaggio in Gran Bretagna per verificare i sentimenti dell’opinione pubblica sugli ebrei: è risultato che chi ha una visione fortemente anti-israeliana, l’idea che Israele non dovrebbe nemmeno esistere, tende ad essere anche antisemita, a detestare gli ebrei in quanto tali».
E come giudica il caso di quegli israeliani di sinistra così critici verso Israele da venire accusati di antisionismo? «Uno è Gideon Levy, famoso giornalista del quotidiano israeliano Haaretz. Le sue posizioni possono essere discutibili, ma sono perfettamente legittime e sicuramente non antisemite. Ma un conto è avere posizioni simili in Israele, all’interno del dibattito politico israeliano, un altro è sostenerle da migliaia di chilometri di distanza in tutt’altro contesto. Inoltre, un conto era mettere in discussione il sionismo prima del 1948, prima che nascesse lo stato di Israele, un conto è farlo quando questo stato esiste da settant’anni e ha 8 milioni di abitanti. Affermare oggi, da posizioni di sinistra, che forse non dovrebbe esserci uno Stato ebraico, mi sembra antistorico o peggio. Per l’Olocausto non doveva più esistere il popolo ebraico. Per gli antisionisti odierni non dovrebbe più esistere lo stato del popolo ebraico. Due concetti pericolosamente vicini».
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