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La Repubblica Rassegna Stampa
01.07.2020 Hong Kong, addio autonomia. Pechino passa al pugno di ferro
Cronaca di Filippo Santelli

Testata: La Repubblica
Data: 01 luglio 2020
Pagina: 13
Autore: Filippo Santelli
Titolo: «Hong Kong, addio autonomia. Pechino passa al pugno di ferro»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 01/07/2020, a pag. 13, con il titolo "Hong Kong, addio autonomia, Pechino passa al pugno di ferro", la cronaca di Filippo Santelli.

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Filippo Santelli


Il nuovo dittatore cinese, Xi Jinping – Orizzonti Politici –

Doveva durare almeno 50 anni, fino al 2047, la diversità di Hong Kong all’interno della Cina. Rischia di tramontare molto prima. Ieri il Parlamento di Pechino ha approvato all’unanimità la contestata legge sulla sicurezza nazionale per punire i reati di «sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere» nell’ex colonia britannica. Firmato dal presidente Xi Jinping, il provvedimento è entrato in vigore alle 23, giusto in tempo per il 23esimo anniversario della restituzione di Hong Kong alla Repubblica Popolare. Il primo luglio, di solito occasione di grandi marce per la democrazia, diventa così il simbolo definitivo del primato di Pechino. A dispetto delle rassicurazioni dei funzionari comunisti sulla salvaguardia dei diritti fondamentali, i 66 articoli della norma sembrano introdurre significative limitazioni all’autonomia della città. Il governo centrale irrompe a gamba tesa nella sua giurisdizione, con reati così generici che possono colpire ogni forma di dissenso. L’idea onnicomprensiva che il Partito comunista ha della «sicurezza nazionale» è tutta riflessa nel testo. È «sovversione» anche «ostruire» le attività degli organi del governo. È terrorismo anche «distruggere strutture del trasporto pubblico» o fornire a chi lo fa «materiali e informazioni ». È «collusione» con lo straniero anche «spingere i residenti di Hong Kong a odiare il governo». Di fatto, molte azioni compiute dal fronte più radicale della protesta rientrano nelle fattispecie. Le pene previste vanno da 3 anni di reclusione all’ergastolo. La giurisdizione spetta a polizia e tribunali di Hong Kong, ma una nuova agenzia per la sicurezza nazionale che il governo centrale istituirà in città supervisionerà le attività e gestirà direttamente i casi più seri, anche estradando i soggetti in Cina continentale. Dei casi ordinari si occuperà un gruppo speciale di giudici nominato dal governatore della città, scelto a sua volta da Pechino. Ma prima ancora che legale, la sostanza della norma è politica, come testimoniano l’iter lampo e il testo tenuto segreto fino all’ultimo, allo stesso governo di Hong Kong. L’equilibrio di potere che reggeva "un Paese, due sistemi" non esiste più e Pechino reinterpreta la formula di autonomia della provincia a suo modo, con una stretta a tutto tondo sull’opposizione. Chi è incriminato per reati contro la sicurezza nazionale non potrà candidarsi, misura che potrebbe decapitare il campo democratico in vista del voto parlamentare di settembre. Ci sarà maggiore controllo anche su Ong e media. Unica nota positiva: la legge non dovrebbe essere retroattiva. Anche per questo ieri una serie di movimenti "localisti" si sono sciolti, a cominciare da Demosisto di Joshua Wong, 23enne volto della protesta che si era definito tra i «primi bersagli» della legge. «È la fine di Hong Kong», ha scritto su Twitter, citando un Salmo: «Posso camminare attraverso valli oscure come la morte, ma non avrò paura». Questa mattina nella piazza della Bauhinia dorata, blindata per l’occasione, si terrà la cerimonia del doppio alzabandiera (cinese e della città) che celebra l’anniversario della restituzione. Una manifestazione di protesta del campo democratico invece non è stata autorizzata con il pretesto delle misure anti coronavirus. Diversi esponenti dell’opposizione hanno detto che marceranno comunque, i gruppi Telegram dei giovani ribollono. La maggioranza dei cittadini è contrario alla norma, ma bisogna capire se prevarrà la rabbia, il senso di impotenza o la paura per la nuova legge. A caldo, il governo britannico ha accusato la Cina di aver violato la Dichiarazione congiunta, il documento con cui fu sancita la restituzione di Hong Kong. Intanto gli Usa hanno iniziato a smantellare lo status commerciale privilegiato concesso alla città, limitando le esportazioni di armi e tecnologia. Per ora è una misura blanda, si vedrà se Washington deciderà di colpire i flussi finanziari, vera ricchezza del Porto Profumato. Pechino rassicura la comunità d’affari internazionale, spera di non vederla fuggire, ma ha già mostrato di essere disposta a pagare il prezzo più alto.

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