IC7 - Il commento di Diego Gabutti
Dal 22 al 27 aprile 2020
Siamo scampati al collettivismo, ma la penitenza storica continua
Magari la storia non è finita, come s’augurava Francis Fukuyama in un best seller di trent’anni fa, La fine della storia e l’ultimo uomo. Recentemente ristampato da UTET, e all’epoca frainteso come il più spericolato (e insieme il più candido) dei pamphlet utopisti, il best seller di Fukuyama dava per definitiva — crollato il Muro di Berlino e svanite come un cattivo pensiero le repubbliche sovietiche e i loro satelliti nell’est europeo — la vittoria del libero mercato, Mano Invisibile e tutto, su ogni possibile Piano Quinquennale. Non andò esattamente così: siamo scampati al collettivismo, ma la penitenza storica continua. Tuttavia, anche se la storia, dopo il ribaltone dell’URSS, continua a macinare sventure, ci siamo lasciati la Storia dietro le spalle. Per strada, mentre il XX secolo volgeva al tramonto e il nuovo millennio cominciava sotto la cattiva stella degli attentati islamisti, del politically correct e della guerra al terrore, la storia ha infatti perso la maiuscola.
Niente più Storia: storia. Come gli ufficiali codardi dei vecchi film, ai quali i colleghi in alta uniforme consegnavano una piuma bianca in segno di disprezzo, la storia ha perduto l’infallibilità, una qualità che gli ultimi due secoli, i secoli degli storicismi perentori e senza rete, delle rivoluzioni sempre in marcia e del pensiero forte, i secoli dominati da hegelismi e marxismi armati fino ai denti, le avevano affrettatamente attribuito. Umiliata e ridimensionata, la storia ha calato almeno provvisoriamente le arie, insieme a ogni residua pretesa salvifica vantata dall’agit-prop storicista (animato dei suoi grandi sacerdoti: a est i tiranni e le polizie segrete, in Occidente le gazzette e gl’intellettuali organici). C’era la Storia, l’ombra immane d’una piaga biblica da film kolossal, dietro le disgrazie storiche che hanno marchiato a fuoco il secolo dei comunismi, dei fascismi, degl’islamismi, dei populismi. Dio coranico, che a fil di spada ha convertito interi popoli alla Sharia socialista e nazionalsocialista, Dio bulimico e tutt’altro che misericordioso, la Storia maiuscola ha preteso, per tutto il Novecento, sacrifici umani sempre più numerosi e sempre più cruenti: lo sterminio dei kulaki e la Shoah, le rivoluzioni culturali proletarie e i califfati. Si placava la sua ira soltanto sacrificandogli le classi, le «razze», le comunità religiose concorrenti, i «revisionisti» e i «parassiti» che le sue Inquisizioni indicavano instancabilmente al boia. In cambio dei sacrifici umani: il radioso futuro. Dalle camere a gas, dalle miniere siberiane, dai campi di lavoro e di stupro, dalle camere di tortura e dalle fosse comuni scavate in tutto il pianeta sarebbe sorto il paradiso in terra della perfetta giustizia sociale, della purezza biologica, della Vera religione.
Fukuyama fu il primo ad accorgersene: del Timor di Dio en travesti hegeliano-marxista non resta più niente. Oggi il lavoro degli storici non è più celebrare la messa cantata del divenire, come un tempo, prima che i festoni e le ghirlande progressiste sparissero dalle vetrine e dai banconi delle librerie, che avevano addobbato per decenni con le loro decorazioni egemoniche. Oggi gli storici, invece di compiacere gli editori delle Enciclopedie sovietiche che hanno dominato le culture del Novecento, devono sgombrare il campo dalle fake e dai tarocchi accumulati, per calcolo ideologico, dagli storici delle generazioni precedenti. Non rimane più traccia della filosofia marxista che qualche decennio fa metteva il mondo sull’attenti: i filosofi marxisti, che alla Storia avevano eretto monumenti metafisici, sono diventati macchiette da talk show, e i loro ultimi seguaci – involontariamente comici persino quando si guadagnano da vivere raccontando barzellette e facendo imitazioni in tivù – sono quelli che non distinguono tra Cile e Venezuela, tra Rinascimento e Risorgimento, tra Svizzera e Corea del nord. Restaurata, o in via di restaurazione, senza più maiuscole, la storia è una religione declassata a superstizione: non fornisce più consolazioni. Abbiamo perso la fede nelle ideologie, e questa è una buona cosa. È una buona cosa anche non sapere se ci sarà o no un happy end al fondo delle nostre tribolazioni. Vedremo. Chissà. Ma al momento, corna facendo, non ci sono emuli di Hitler e Stalin a guastarci la sorpresa.
Nino Manfredi: "Aritanga romba coyota"
Tema, però, per una prossima riflessione: con la maiuscola – nell’età delle statue abbattute e delle biblioteche igienizzate, quando il piccone s’abbatte sulle tragedie shakespeariane per il loro costitutivo imperialismo e sessismo, come pure sull’arte rinascimentale perché gli artisti dell’epoca avevano il vizio di ritrarre Cristi e Madonne di pelle bianca – rischiamo di perdere anche la parola, diventata impronunciabile. Si dice «storia» con ribrezzo e con orrore. Era Iddio, e sta diventando Satana. Ieri scagliava fulmini dall’alto dei cieli e oggi è da annientare, cancellare, revocare, sopprimere e dimenticare. Da concavi, gli storicisti fondamentalisti sono diventati convessi; da grandi sacerdoti, esorcisti. Aritanga romba coyota, come dice Nino Manfredi, alzando gli occhi al cielo, quando Alberto Sordi riesce (disgraziatamente) a stanarlo dal suo paradiso africano in Riusciranno i nostri eroi… di Ettore Scola.
Diego Gabutti