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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
26.06.2020 Il vero 'sogno palestinese' è distruggere Israele
Ecco un articolo di propaganda firmato da Davide Lerner

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 26 giugno 2020
Pagina: 28
Autore: Davide Lerner
Titolo: «Palestinian Dream»

Riprendiamo dal VENERDI' di REPUBBLICA di oggi, 26/06/2020, a pag.28 con il titolo "Palestinian Dream", l'analisi di Davide Lerner.

Un intero articolo, quello di Davide Lerner, sul "sogno palestinese". Eppure il giornalista non trova spazio per chiarire la cosa più importante, cioè che il vero sogno arabo palestinese non è la nascita di uno Stato a fianco di Israele, ma la distruzione dello Stato ebraico. Non è politicamente corretto, ma è questa la natura vera del sogno arabo palestinese, che rimprovera a Israele il fatto di ostinarsi a voler esistere. E' chiaro che gli spazi di trattativa con chi parte dal presupposto di combattere Israele fino alla distruzione sono inesistenti. Ma Davide Lerner non si fa scrupolo di sostenere questa vulgata, senza bilanciarla con opinioni di parte israeliana, e facendosi quindi strumento della propaganda che demonizza e delegittima lo Stato ebraico.

Ecco l'articolo:

The JC | Jewish News, Comment & Culture | The Jewish Chronicle ...
Davide Lerner

RAWABI (Cisgiordania). Una Dubai in miniatura là dove l'immaginario collettivo colloca solo sgangherate cittadine e polverosi campi profughi in conflitto coi soldati israeliani. Una Palestina che guarda al futuro piuttosto che idolatrare le chiavi arrugginite delle case abbandonate nel 1948. Questo il sogno dei 59enne visionario imprenditore palestinese Bashar Masri che, nei giorni in cui Israele predispone piani per annettere parti della Cisgiordania, festeggia i 10 anni dalla fondazione della sua Rawabi ("colline" in arabo). «È l'unica cittadina costruita da zero nella storia moderna palestinese» dice fiero Jihad Kmail, rampante 33enne originario di Jenin che vive e lavora qui. Titolare di una start-up di architettura, è l'abitante prototipo di questa cittadina frequentata da impomatati uomini d'affari che vorrebbe attrarre la borghesia laica e divenire polo della new economy palestinese.

New Palestinian metropolis rises in the West Bank as Israeli ...
Rawabi

UN MODELLO NON IMITATO «Il bilancio del primo decennio è positivo. Certo mi piacerebbe ci fossero fra i 10 e i 15 mila abitanti, invece di 4-5 mila, e che questi quattro palazzi fossero tutti pieni di uffici, e non solo uno. Ma se si va avanti lentamente è per la situazione politica, quanto era sotto il nostro controllo l'abbiamo fatto bene» ci dice Masri nel suo ufficio. La città si staglia fra le colline di una delle zone più affascinanti dei territori palestinesi. Fra gli antichi terrazzamenti agricoli di pietra immersi negli ulivi e la natura rigogliosa e curata di alcuni dei più eleganti insediamenti israeliani, come Halamish. La vista dalla grande terrazza di Masri offre un panorama mozzafiato della regione che gli israeliani chiamano con il nome biblico di Samaria. L'orizzonte acciuffa addirittura lo skyline di Tel Aviv e poi il mare. «Quando Bashar Masri (Masri parla di sé in terza persona, ndr) ha ideato Rawabi, il contesto politico non era così terribile. Non esisteva la separazione fra Fatah e Hamas, tanto che volevamo costruire una città anche a Gaza. Olmert era primo ministro in Israele, mentre pochi mesi dopo l'annuncio della nascita di questa città è arrivato Benjamin Netanyahu, che è ancora al governo. Non c'era Donald Trump con il suo piano di pace unilaterale. Avrei scommesso che entro la fine del 2020 ci sarebbero stati altri progetti sulla scia di Rawabi, ma oggi è impensabile. Appezzamenti di terra abbastanza grandi ci sarebbero solo in Area C» dice in riferimento alla zona della Cisgiordania sotto controllo israeliano, secondo la divisione degli accordi di Oslo, «e vedremo anche di quella che cosa rimarrà» aggiunge alludendo ai piani di annessione di Netanyahu. Estesa per oltre il 60 per cento della Cisgiordania, l'Area C comprende tutti gli insediamenti e solo un decimo della popolazione palestinese della regione, il che la colloca in cima alla lista della spesa per l'allargamento della sovranità israeliana.

L'AUTO DEL QATAR Il progetto di una nuova città costruita dal settore privato, costato finora 1,4 miliardi di dollari secondo gli investitori, è stato possibile grazie all'appoggio del Qatar, la cui bandiera sventola all'ingresso della città di fianco a quella palestinese. Oltre due terzi dell'investimento li ha messi Qatari Diar, una controllata del fondo sovrano specializzata in edilizia e sviluppo urbano. «Per fortuna anche loro credono nell'importanza di Rawabi come progetto di sviluppo nazionale, a prescindere dal profitto» dice Masri, che ha sborsato il resto del denaro: «Non si sono tirati indietro nelle fasi in cui sembrava non ce l'avremmo fatta». Il momento di crisi più profonda è nato dal rompicapo dell'approvvigionamento dell'acqua. Rawabi si trova in Area A, dunque sotto il controllo dell'Autorità nazionale palestinese, ma per far arrivare le tubature serviva un salvacondotto israeliano per la circostante Area C. Nel 2014, al momento della consegna e dei pagamenti delle prime case, il processo di autorizzazione si arenò nei gangli della burocrazia israeliana, come era già avvenuto per la strada di accesso. «La situazione si sbloccò solo con l'intervento di Netanyahu, in seguito a fortissime pressioni americane» dice Silvan Shalom, allora ministro delle Infrastrutture israeliano, che ora sostiene di non aver giocato un ruolo nell'ostruzionismo di Gerusalemme. Quella crisi mandò l'impresa in profondo rosso, racconta Masri, e fu fondamentale il continuato sostegno del Qatar. Non a caso la parte più animata della città, con il centro commerciale e gli uffici della dirigenza, è stata battezzata Q Center, e perfino consacrata con una statua alla lettera Q. Masri si è ostinato a voler aprire negozi delle marche più titolate a livello internazionale, e ammette di aver dovuto mettere sul piatto generosi incentivi per compensare l'assenza di mercato. Ci sono Swarovski, American Eagle, Timberland, Replay. Nel 2017 un grande cartello annunciava l'apertura di un negozio Ferrari, poi saltata a causa dei dissidi fra Qatar ed Emirati, dicono i promotori. Se come auspicano Rawabi diventerà davvero un tech hub per tutto il Medio Oriente, allora forse il centro commerciale smetterà di sembrare solo uno specchietto per le allodole.

IL NORMALIZZATORE I detrattori palestinesi di Masri, e non sono pochi, lo accusano di "normalizzazione" e di interagire troppo benevolmente con la controparte israeliana. Il progetto di Rawabi ha coinvolto imprese israeliane e, laddove conveniva, ha utilizzato materiali provenienti da Israele. Lui stesso è un moderato con relazioni oltre la Linea verde, e viaggia usando l'aeroporto di Tel Aviv con il passaporto americano. Quando l'esercito israeliano ha piantato l'inquietante cartello rosso che vieta l'accesso in Area A ai propri concittadini ("L'ingresso è pericoloso per le vostre vite e contro la legge") lui l'ha divelto prima ancora che si asciugasse il cemento. «L'Anp non ha aiutato Rawabi in nulla, anche se questa è una città pubblica, non il Regno di Bashar» si lamenta. «Fino a un paio di anni fa avevano ogni tipo di relazioni con gli israeliani, e in Cisgiordania tutti usano i loro prodotti». A Masri si imputa anche la scelta di uno stile architettonico stonato, che fa sembrare Rawabi catapultata sulla Palestina piuttosto che germogliata dal suo territorio. Chi la critica dice che ricorda le nuove città che si costruiscono nel Golfo o, peggio, che imita gli insediamenti israeliani. La chiamano "colonia palestinese" e parlano di sindrome di Stoccolma architettonica. Dicono che è per ricchi, anche se le case che vanno dai 60 mila ai 250 mila dollari sono meno care che in altre città, e magari non apprezzano che le abbiano acquistate non pochi arabo-israeliani e palestinesi cristiani. C'è poi l'anfiteatro greco-romano, che ha fatto alzare parecchie sopracciglia. «È un cliché di sapore neoclassico, un'americanata che ricorda lo stile della Casa Bianca» dice Constant Harbonn, un paesaggista francese che su Rawabi ha scritto la sua tesi per Sciences Po. Ma i grandi concerti organizzati da Masri con le star del mondo arabo, dal giordano Omar Al-Abdallat al palestinese vincitore di Arab Idol Mohammed Assaf, sono tutti stati un successone.

IL CUORE AL POSTO GIUSTO I Masri, originari di Nablus, sono una famiglia storica fra le più facoltose della Cisgiordania, la prima ricchezza derivata dall'industria del sapone. Ma Bashar viene da uno dei nuclei meno abbienti. Il suo impero lo ha messo in piedi da solo a partire dagli Stati Uniti, dove ha studiato, e spiccando il volo con l'edilizia popolare in Marocco. «Negli anni 90, quando cominciava a costruire la sua fortuna a Washington, Bashar non perse mai di vista il legame con la causa nazionale palestinese e con la sua città» dice l'ex presidente dell'Università Al Quds di Gerusalemme Est, Sari Nusseibeh. «Tornò in Palestina all'epoca degli accordi di Oslo, quando sembrava qui ci fosse da costruire uno Stato capace di assorbire dei rifugiati, invece si è ritrovato con una città senza intorno uno Stato». Per Nusseibeh quasi tutte le critiche rivolte a Masri sono ingenerose: «Il cuore ce l'ha al posto giusto, l'estetica di Rawabi è un altro discorso». Nel giugno 2019 Masri ha declinato l'invito americano a partecipare alla conferenza del Bahrein, in cui si lanciava la parte economica del piano Trump. «Non mi sembrava giusto avallare l'idea che il problema palestinese sia solo di natura economica, mentre riguarda dignità e diritti politici» spiega. «Rifiuto l'idea della pace economica e non intrattengo rapporti con i coloni, che per tutti i palestinesi sono troppo difficili da digerire». Invita poi a guardare la mappa frammentata e discontinua della Palestina come immaginata nel piano Trump: «Qualsiasi studente palestinese verrebbe bocciato per non saper disegnare la mappa del proprio Paese» ride. E chiude con una battuta seria sull'annessione: «Sono contrario, ma se proprio vogliono annettano tutto. Però ci diano diritti politici e lo chiamino Stato del Trallallà».

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