|
|
||
Quando i palestinesi non seguono più i loro leader
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
A destra: Donald Trump, Abu Mazen
Lo scorso gennaio venne reso pubblico il famoso "Affare del secolo", il piano di pace del Presidente Trump, in cui si trovavano i presupposti per una soluzione che avrebbe visto la nascita di uno Stato palestinese, consentendo al contempo alla maggior parte degli insediamenti di essere annessi da Israele. I termini della negoziazione avrebbero dovuto essere trattati da entrambe le parti, ma l'Autorità Palestinese la respinse senza esitazione. Da allora, i suoi leader hanno moltiplicato le dichiarazioni bellicose. Domenica 21 giugno Jibril Rajoub dichiarava che se Israele persiste nel suo progetto di annessione, i palestinesi lanceranno “un movimento di resistenza pacifica”, annunciando lo svolgimento di una vasta manifestazione popolare a Gerico per il giorno successivo. Tra le personalità che hanno fatto atto di presenza, vale la pena menzionare Nicholas Mladenov , inviato speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace e il capo della rappresentanza dell'Unione europea per la Cisgiordania e Gaza, Sven Kuehn von Burgsdorff: entrambi hanno affermato che qualsiasi annessione non solo sarebbe contraria al diritto internazionale, ma renderebbe ancora più difficile una soluzione a due Stati. Erano presenti anche diplomatici inglesi, russi, giapponesi, cinesi e giordani. I palestinesi brillavano per la loro assenza. La folla tanto attesa non c'era. Qualche centinaio al massimo. Cosa vuoi mai, hanno altre preoccupazioni più urgenti. Il Coronavirus apparentemente sotto controllo, ha ripreso a diffondersi: ci sono stati centoquarantadue nuovi casi lunedì 22. Sono state vietate le riunioni, compresi i matrimoni, le feste di fine anno scolastico e persino le visite di condoglianze, ad eccezione senza dubbio delle manifestazioni pacifiche di protesta. Sono state introdotte restrizioni alla libera circolazione. Come ulteriore misura, agli arabi israeliani viene richiesto di non recarsi in aree controllate dall'Autorità Palestinese. Si sa che di solito vi si recano per fare acquisti in mercati e negozi dove i prezzi sono inferiori a quelli praticati in Israele. E frequentano anche ristoranti e locali notturni. La loro assenza si fa sentire pesantemente. A tutto questo si aggiunge il braccio di ferro attivato da Abu Mazen. Senza attendere una decisione israeliana sull'annessione, che potrebbe anche non venire e di cui non si conoscono neppure i parametri esatti, lui ha deciso, già diverse settimane fa, di tagliare i ponti con le autorità israeliane. Ne consegue la sospensione non solo della cooperazione in materia di sicurezza, ma anche della cooperazione in materia di salute, che riveste un’importanza cruciale per combattere efficacemente il virus. Come corollario, i lavoratori palestinesi non ricevono più la documentazione che consente loro di entrare in Israele. Anche in questo caso un significativo mancato introito per le famiglie. Infine, l'Autorità Palestinese si rifiuta di ricevere i soldi che le spettano per i dazi doganali riscossi par lei in Israele, in quanto quest’ultimo sottrae dalle somme dovute i salari concessi ai terroristi incarcerati. Ne consegue che le centinaia di migliaia di dipendenti pubblici non riceveranno i loro stipendi. Il che significa che effettueranno meno acquisti, peggiorando così ulteriormente la situazione. La rabbia sta crescendo, e non è rivolta contro Israele, ma verso i dirigenti di Ramallah. Va sottolineato che anche Gucha Poachidze, capo della missione russa accreditata presso l'Autorità palestinese, ha parlato lunedì 22 giugno a Gerico. Pur condannando i progetti di annessione israeliani, ha sollecitato una ripresa immediata dei negoziati per raggiungere un accordo. Un appello fondato sul buon senso che purtroppo rischia di non essere ascoltato.
|
Condividi sui social network: |
|
Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui |