Vogliono censurare pure Tarantino Commento di Gianluca Veneziani
Testata: Libero Data: 19 giugno 2020 Pagina: 20 Autore: Gianluca Veneziani Titolo: «Razzismo al contrario»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 19/06/2020, a pag. 20, con il titolo "Razzismo al contrario", il commento di Gianluca Veneziani.
Quentin Tarantino
Devi essere disinformato o disonesto intellettualmente per dare a Quentin Tarantino del razzista. Cioè al regista che ha come suo attore preferito un nero, Samuel L. Jackson, che ha dedicato un film come Jackie Brown per celebrare l'epopea della Blaxploitation, ossia delle pellicole per afroamericani, e un altro come Django Unchained per raccontare il dramma della schiavitù dei neri nelle piantagioni. Eppure, al tempo della caccia alle streghe contro i presunti xenofobi (negli Usa funziona così: qualche anno fa scoppiò il Me Too e tutti erano sessisti; ora va à la page il Black Lives Matter e si vanno a stanare i cripto-razzisti); ebbene, in un tempo come questo, anche un gigante della regia come Tarantino, uno che ha fatto delle mescolanza la propria cifra stilistica, passa per essere un aspirante membro del Ku Klux Klan. Come già nel caso di Via col vento, pure stavolta l'attacco arriva da John Ridley, il co-sceneggiatore del film 12 anni schiavo nonché vincitore di premio Oscar, che pare attraversare un periodo di allucinazioni persecutorie anti ne(g)ri. Come riporta il Daily Mail, lo sceneggiatore ha condannato l'uso della parola «negro» nei film di Tarantino, definendolo «doloroso e irritante» e accusando il regista di «godere nell'usarlo» in quanto quel termine non «sarebbe usato in un particolare contesto, ma è usato tanto per essere usato». Le parole di Ridley seguono quanto già anni fa aveva detto un regista nero come Spike Lee, secondo cui «c'è qualcosa di sbagliato in Tarantino. E infatuato di quella parola» (Lee però nei suoi film può utilizzarla, eccome). Addirittura un quotidiano, il Dallas Observer, si è messo a fare il calcolo di tutti i «negro» pronunciati nei film di Tarantino: sarebbero 38 in Jackie Brown, 47 in The Hateful Eight e 109 in Django Unchained. A parte l'etimologia (dal latino niger, che non era affatto un aggettivo razzista), ciò che tutti costoro non considerano è quella rosetta chiamata "contesto". Tarantino usa il termine "negro" perché così venivano definiti gli afroamericani al tempo dello schiavismo, e così ancora erano chiamati durante la Seconda Guerra Mondiale (da qui l'uso in Bastardi senza gloria). E anche quando i suoi personaggi adottano quell'espressione in chiave offensiva (vedi Calvin Candie, alias Leonardo Di Caprio, in Django), ciò ovviamente non vuol dire che il regista condivida l'insulto. Ma il suo utilizzo serve a rendere più verosimile la narrazione, più autentica, più coerente al tempo in cui è ambientata. A un regista anticonformista come Tarantino è poi facile pensare che non piaccia affatto l'uso del linguaggio edulcorato, come quello che impone in America di sostituire «negro» con l'ipocrita «N-word», ossia «la parola che inizia con N». Lui se ne frega, perché ne va della sua libertà espressiva, e anche della verità dei suoi persona. Lo ha capito bene proprio Samuel L. Jackson, rispondendo così a chi critica Tarantino: «Non puoi dire a un artista di non poter parlare, scrivere certe parole o mettere in bocca alle persone le parole nel modo in cui le usano. Non puoi farlo perché poi diventa una falsità. Non è onesto». Nulla da aggiungere. A conferma che il vero discrimine non è tra bianchi e neri, o tra razzisti e antirazzisti. Ma tra persone intelligenti ed emeriti imbecilli.
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