Le mani di Erdogan e Putin sulla Libia Editoriale di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 14 giugno 2020 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Erdogan e Putin verso un patto sulla Libia»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 14/06/2020, a pag. 1, con il titolo "Erdogan e Putin verso un patto sulla Libia", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
La Turchia di Erdogan rinforza l'asse con la Libia
Le manovre aeronavali turche davanti alle coste libiche, i jet russi nella base di Jufra e l’odierno summit ministeriale russo-turco descrivono quanto sta avvenendo nel Mediterraneo Centrale: Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin sono protagonisti, alle porte dell’Italia, di un riassetto strategico che indebolisce l’Europa e sfida gli Stati Uniti. Le manovre turche denominate “Open Sea Training” sono appena terminate ed hanno visto l’impiego di almeno 17 F-16 assieme ad una dozzina di navi ovvero Ankara ha messo in scena una dimostrazione di forza per attestare che i propri interessi si estendono legittimamente dallo Stretto del Bosforo al Castello di Tripoli. I commentatori di Ankara hanno messo in relazione le manovre con il successo bellico ottenuto pochi giorni prima a Tripoli. l continua a pagina 27 segue dalla prima pagina D ove le forze turche sono riuscite a rompere l’assedio della città da parte del generale Khalifa Haftar, umiliando le sue milizie e obbligandolo a ritirarsi verso le roccaforti in Cirenaica. L’intervento turco a sostegno del premier Fayez al-Sarraj, iniziato a settembre, ha portato alla sconfitta del generale ribelle di Bengasi finanziato da Arabia Saudita ed Egitto, armato dagli Emirati Arabi Uniti e sostenuto da Parigi e Mosca. L’equilibrio di forze sul campo fra gli acerrimi rivali libici si è rotto quando — nel bel mezzo dell’emergenza Covid 19 in Europa — la brigata “Wagner” di mercenari russi prima ha ridotto le operazioni e poi si è ritirata dalla Tripolitania, poco prima che Mosca decidesse di far atterrare almeno 14 aerei da combattimento — inclusi alcuni Mig-19 Fulcrum — nella base aerea di Al Jufrah nel cuore del Sahara libico controllato da Haftar. È stato quello il momento della scelta di Putin: ha voltato le spalle alla coalizione di Haftar per trattare con Erdogan sul futuro assetto della Libia. Un rovesciamento di campo che non sarebbe stato possibile senza l’avallo dell’Arabia Saudita che ha siglato con il Cremlino l’accordo extra-Opec sul petrolio per salvare la produzione globale dalla tempesta Covid 19. Senza più il sostegno dei mercenari russi, Haftar non è riuscito a tener fronte all’offensiva di Sarraj sostenuta dai turchi e la sua sorte militare — e forse anche politica — appare segnata. L’interrogativo dunque è quale equilibrio si creerà ora sul terreno fra Ankara e Mosca. L’arrivo oggi a Istanbul dei ministri russi degli Esteri e della Difesa, Sergej Lavrov e Sergej Shoigu, per incontrare gli omologhi turchi ha proprio questo per tema. E non si tratta solo dell’ipotesi di una spartizione fra aree di influenza in Libia, come avvenuto sulla Siria, o di co-gestire un processo di pacificazione simile a quello di Astana, bensì di affrontare la richiesta-chiave di Mosca: avere delle basi in Cirenaica. Il Cremlino cerca un successo strategico di prim’ordine perché la base aerea di Jufra o quella navale di Bengasi gli consentirebbero di mettere piede nel Mediterraneo Centrale, fronteggiare le basi Usa in Sicilia, incalzare la Nato sul fianco Sud ed al tempo stesso insediarsi in Nordafrica protetto dal sostegno di entrambi i grandi rivali dell’Islam sunnita: Riad e Ankara. Per avere un’idea delle fibrillazioni che ciò comporta basta guardare cosa è avvenuto negli ultimi giorni: il presidente americano Trump ha parlato con lo scomodo alleato Erdogan trovandosi nella condizione di dovergli chiedere di ostacolare i progetti russi e gli Emirati esercitano forti pressioni sull’Egitto affinché crei una zona cuscinetto dentro la Cirenaica per evitare la totale perdita della Libia. Davanti a tali e tanti sviluppi l’Unione Europea appare in evidente ritardo con Roma e Parigi ancorate ad una Conferenza di Berlino mai decollata, nonché obbligate a fare presto i conti con Erdogan in Maghreb su energia, sicurezza ed immigrazione. In attesa di sapere se le eventuali basi russe nel Sahara apriranno il capitolo africano della nuova Guerra Fredda con la Nato, possono esserci pochi dubbi sul fatto che al momento l’unico vincitore della guerra civile in Libia è Erdogan, anche grazie al sostegno finanziario del Qatar. Ma proprio in quanto tale, dopo aver sgominato le milizie di Haftar e messo in scacco una dozzina di potenze, il leader di Ankara dovrà guardarsi soprattutto dalla minaccia che più preoccupava i Faraoni nell’Antico Egitto: la spietata violenza delle tribù libiche che invadevano con ogni pretesto le regioni occidentali del Delta del Nilo e che da allora nessuna potenza straniera è mai riuscita davvero a domare.
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