Riprendiamo da LIBERO di oggi, 14/06/2020, a pag.18 con il titolo "Lo scrittore che profetizzò l'invasione dei migranti" il commento di Mauro Zanon.
Mauro Zanon
Jean Raspail
Jean Raspail aveva capito tutto prima di tutti, la crisi identitaria della cultura europea, la sottomissione delle élite progressiste, l'invasione migratoria arabo-africana, l'aggressività della religione islamica, mezzo secolo prima di Michel Houellebecq e del suo Soumission. Si è spento ieri all'ospedale Henry-Dunant di Parigi lo scrittore e intellettuale cattolico francese che nel romanzo distopico Il campo dei santi, del 1973, aveva anticipato i mali di un occidente in perdizione, le debolezze di una civiltà illuminata che si vergogna di sé e che oggi orde di vandali vorrebbero cancellare, a suon di anatemi e statue decapitate. Raspail ha lasciato questo mondo a pochi giorni dal suo novantacinquesimo compleanno, dopo aver ricevuto venerdì l'estrema unzione, cattolico fino al suo ultimo respiro, e oltre. La Francia benpensante, quella che censurava Oriana Fallaci e la trascinava in tribunale per i pamphlet sull'islam, lo ha sempre considerato un "razzista", un pericoloso reazionario da tenere alla larga da qualsiasi circolo letterario. E nei giornali della gauche, ieri, circolavano due soli aggettivi, "controverso" e "sulfureo", quando invece è stato semplicemente visionario e anticipatore. «Mi prendo la mia vendetta, gli eventi confermano quello che avevo immaginato», diceva negli ultimi anni a chi gli telefonava nell'appartamento del diciassettesimo arrondissement pieno di libri, cimeli e ricordi delle sue avventure in giro per la terra.
MARINAIO MANCATO Nato a Chemillé-sur-Dême nel 1925, si considerava «un marinaio mancato, che ha esplorato il mondo in lungo e in largo prima di scoprire che anche la scrittura è un lungo viaggio». Ha attraversato in macchina le due Americhe, e da etnologo si è sempre messo alla ricerca di culture e popoli in via d'estinzione, dalle Antille all'Alaska. «Sono un difensore di tutte le razze minacciate, compresa quella bianca», diceva. Innamoratosi della Patagonia, si era autoproclamato "console generale" e nel 1981 le aveva dedicato un bellissimo romanzo: Moi, Antoine de Tounens, roi de Patagonie, la storia di un avventuriero francese che sbarca in Argentina nel 1860 e si fa proclamare re d'Araucania e di Patagonia (il libro ottenne il prestigioso Grand prix du roman de l'Académie française nel 1981). Cinque anni dopo, Raspail diede alle stampe un altro romanzo indimenticabile, I nomadi del mare, grazie al quale ricevette il prix Chateaubriand. Nel 2000, poteva diventare un immortel dell'Académie, ma non riuscì ad ottenere la maggioranza dei voti per ragioni ideologiche: l'ala sinistra del santuario della lingua francese non tollerava che un royaliste, cattolico e reazionario, avesse uno scranno. Ma Raspail ha sempre negato di essere di "estrema destra", era troppo libero per essere infilato in una categoria. «Non ho alcun desiderio di far parte del grande gruppo di intellettuali che spreca il loro tempo a discutere di immigrazione.
DISCRIMINATO La gente sa tutto intuitivamente: che la Francia, come i nostri antenati l'hanno progettata da secoli, sta scomparendo. Ma parlano incessantemente di immigrazione, senza mai dire la verità finale. Una verità che è anche indicibile. Siamo finiti e la Francia, con la sua cultura, la sua civiltà, viene eliminata senza nemmeno un funerale. Dal mio punto di vista, questo è ciò che accadrà», profetizzava Raspail negli anni Duemila. Nel suo "Campo dei santi" aveva immaginato una Francia invasa da migliaia di immigrati provenienti dalle rive del Gange, «l'armata dell'ultima chance» che sbarca in Costa Azzuna, nel paradiso occidentale, e prende il controllo del Paese. Il suicidio culturale dell'occidente, l'ideologia terzomondista delle élite europee, il senzafrontierismo dissennato, la grande sostituzione etnica: c'era tutto ciò che ci circonda in quel romanzo fantapolitico. Assieme a "1984" di George Orwell e a pochi altri, è uno dei libri più lucidi e lungimiranti del Novecento. La casa editrice Robert Laffont lo ha ripubblicato nel 2011, ma con una nota scritta dal direttore editoriale, Leonello Brandolini, che con prudenza prende le distanze dai contenuti presenti nel testo. Daniel Schneidermann, su Libération, vergò un articolo al vetriolo contro Raspail, parlando di «libro razzista e tossico». Ma nonostante le scomuniche, fu un successo editoriale. Nel 2004, per un articolo sul Figaro intitolato "La patria tradita dalla Repubblica", fu denunciato dalle associazioni antirazziste per "istigazione all'odio razziale", ma finì per essere assolto. Ha lottato fino all'ultimo contro le armate del politicamente corretto, che lo aspettavano al varco ogni volta che usciva un suo romanzo, un suo articolo, una sua dichiarazione. Nel 2015, il settimanale parigino Valeurs Actuelles gli ha dedicato la copertina scegliendo l'unico titolo possibile per riassumere la sua vita: Le prophète.
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