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Italia Oggi Rassegna Stampa
12.06.2020 Germania tra virus e migranti
Commento di Roberto Giardina

Testata: Italia Oggi
Data: 12 giugno 2020
Pagina: 15
Autore: Roberto Giardina
Titolo: «Virus e i migranti in Germania»
Riprendiamo da ITALIA OGGI di oggi 12/06/2020, a pag.15 con il titolo "Virus e i migranti in Germania" il commento di Roberto Giardina.

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Roberto Giardina

Gottingen, Germany (With images) | German village, Gottingen, Village
Il centro di Gottinga

Il Coronavirus crea problemi con i profughi. Göttingen, la nostra Gottinga, è una tranquilla città di provincia, in Bassa Sassonia, 119mila abitanti, di cui 30mila studenti universitari, e una percentuale di stranieri molto bassa in confronto alla media nazionale, appena ottomila. Finora nessun grave problema con i profughi. Ma ora è sotto accusa la comunità musulmana, che sarebbe responsabile, con il suo comportamento, del nuovo aumento dei contagi. Era ripresa da poco alla vita normale, o quasi, ed ora si rischia di tornare alla quarantena. Le vittime del virus in città sono state 78. Il 23 maggio, diverse grandi famiglie hanno festeggiato la Zuckerfest, la festa dello zucchero, la fine del Ramadan, in un palazzone ai margini della città, e subito si sono registrati 170 contagi, tra cui una quarantina di bambini. Si è dovuto subito chiudere scuole e asili, appena riaperti, e la piscina comunale. I genitori sono furenti. «Sono molto preoccupata», ammette Petra Broistedt, assessore per la sanità e le questioni sociali, da cui dipendono dunque anche gli alloggi dei profughi. «Passo notti insonni. Mi batto con tutte le mie forze», continua, «per evitare un nuovo lockdown. Sarebbe un disastro». Il governo di Frau Merkel ha deciso la fine delle misure d'emergenza, a condizione che non si torni a superare la soglia di 50 contagi per 100mila abitanti, è a Göttingen siamo già ben oltre. La città potrebbe diventare zona rossa. Ora i contagi sembrano tornare a scendere, ma gli abitanti della cittadina universitaria non credono ai dati ufficiali, che sarebbero manipolati: la realtà è diversa, protestano. Si organizzano proteste e fiaccolate per la morte di Floyd negli Stati Uniti, e contro Donald Trump. E ci si arrabbia contro gli stranieri vicini di casa. L'Afd, il partito di estrema destra, non aveva successo finora, e adesso cerca di sfruttare la tensione. Tutta colpa dell'Iduna Zentrum, come si chiama il grande edificio, costruito negli Anni Settanta dalla società di assicurazioni. Un colosso di 17 piani, secondo la moda del tempo, con piscina e negozi, all'inizio abitato da giovani professionisti rampanti. Ma con gli anni è decaduto, nei 407 appartamenti vive circa un migliaio di inquilini, non si conosce il numero esatto, in maggioranza profughi giunti dal Kosovo, al tempo della guerra, rom musulmani. Ma anche tedeschi, studenti, disoccupati, pensionati. Sono stati abbattuti i due ponti che collegavano il palazzo con l'università e il centro cittadino. Una prova del decadimento, Nel garage dell'Iduna Zentrum, Frau Petra, ha aperto una sorta di pronto soccorso dove vengono testati tutti gli inquilini, e, si dice molti cercano di sottrarsi al controllo. I contagiati e i loro familiari dovrebbero restare in quarantena. «Ma non voglio isolare tutto il palazzo, come un ghetto di appestati». I cittadini denunciano che i residenti musulmani fanno resistenza all'integrazione, non rispettano le misure igieniche, e dopo quasi trent'anni di vita in Germania molti non hanno voluto imparare il tedesco, il che spiega, in parte, il mancato rispetto per le misure di sicurezza. Una trentina di musulmani, si aggiunge, sarebbe andato a far festa in un Sisha bar (un locale dove si fuma il narghilè) scambiandosi le pipe, e contagiandosi a vicenda. I profughi si difendono: tutte calunnie, non è avvenuta nessuna grande festa, e non si parla di quanto è accaduto nei giorni scorsi in altre città, e nella stessa capitale, dove a migliaia hanno festeggiato la Pentecoste nei boschi e nei laghi, senza mascherine e senza rispettare le distanze. E l'Iduna Zentrum ora viene chiamato il «Corona-Haus», come un marchio razzista.

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