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La Stampa Rassegna Stampa
08.06.2020 Ecco la nuova linea della Stampa sempre più ostile a Israele
Con un pezzo di Daniel Barenboim e una breve

Testata: La Stampa
Data: 08 giugno 2020
Pagina: 1
Autore: Daniel Barenboim
Titolo: «L'annessione dei territori palestinesi è una catastrofe totale anche per Israele - In piazza contro il premier Netanyahu»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/06/2020 a pag.1-15, con il titolo "L'annessione dei territori palestinesi è una catastrofe totale anche per Israele", il commento di Daniel Barenboim; la breve "In piazza contro il premier Netanyahu".

A destra: Benjamin Netanyahu

La Stampa prosegue con la nuova linea ostile a Israele. Oggi a pagina 1 compare un intervento del compositore e direttore d'orchestra Daniel Barenboim, noto per le posizioni di aperta critica nei confronti del suo Paese, Israele.

Secondo Barenboim l'annessione da parte israeliana di parte dei territori contesi sarebbe una catastrofe per tutti e, a conforto di questa tesi, scrive della presunta "discriminazione" di cui gli arabi palestinesi sarebbero vittime e cita Edward Said, tra gli intellettuali del Novecento che più hanno contribuito alla demonizzazione dello Stato ebraico, facendolo passare come un corpo estraneo al Medio Oriente e frutto di "neocolonialismo". In conclusione, Barenboim scrive addirittura di "superiorità morale" dei palestinesi, omettendo ogni riferimento a terrorismo e violenza.

Come se non bastasse, la Stampa riprende la notizia già pubblicata ieri dal Fatto della manifestazione che si è svolta a Tel Aviv contro la possibile annessione. I partecipanti erano circa 4000, un piccolo numero rispetto a quello degli israeliani che condividono le posizioni del governo. Ma la Stampa dà spazio soltanto ai 4000.

Ecco gli articoli:

Daniel Barenboim: "L'annessione dei territori palestinesi è una catastrofe totale anche per Israele"

Immagine correlata
Daniel Barenboim

Il 13 maggio ha giurato il 35° governo dello Stato di Israele, 75 anni dopo la fine dell'Olocausto. Nel contratto di coalizione, il nuovo esecutivo cerca un'intesa interna e/o della Knesset sull'annessione di parti della Cisgiordania (Valle del Giordano e insediamenti) sulla base del «piano di pace» dell'amministrazione Trump. Questo piano porta lontano da un accordo di pace con i palestinesi. È una catastrofe totale. Storicamente, il fatto che Israele sia una democrazia liberale che funziona - spesso considerata l'unica democrazia in Medioriente - è stata la sua risorsa più grande, una risorsa che si basa anche sulla rivendicazione di una moralità esemplare, che è stata anche la radice dell'esistenza ebraica nella storia. Uno dei passi centrali della Torah recita «Giustizia, giustizia perseguirai». L'aspirazione alla giustizia è stata un fondamento dell'ebraismo fin dai suoi inizi. Gli insegnamenti universali della tradizione ebraica sulla responsabilità verso tutti i popoli e verso il mondo intero riflettono un profondo impegno nella direzione dei principi etici della giustizia e della rettitudine. Ma Israele sta consumando questo capitale storico in modo molto veloce per due motivi collegati: l'etica della memoria dell'Olocausto e il conflitto ininterrotto con i palestinesi. Alla fine del XIX secolo, Theodor Herzl aveva il bellissimo sogno di una patria degli ebrei, ma purtroppo, solo pochi anni dopo, una bugia si è insinuata nella narrazione: la Palestina come «un Paese senza popolo per un popolo senza Paese». Questo semplicemente non era vero: nel 1914 il popolo ebraico rappresentava solo il 12 per cento della popolazione totale della Palestina. Nessuno può onestamente affermare che la Palestina fosse allora una terra senza popolo per un popolo senza terra, e questo punto è il cuore dell'incapacità storica dei palestinesi di accettare l'esistenza dello Stato di Israele. Eppure, è inaccettabile etichettare i palestinesi come antisemiti. In primo luogo perché sono essi stessi un popolo semitico. Poi perché il loro rifiuto di accettare la presenza ebraica oggi nello Stato di Israele ha una chiara base storica, ma non ha nulla in comune con il diffuso antisemitismo europeo, che ha trovato la sua espressione più terribile nell'Olocausto. Israele ricorda il passato del popolo ebraico, ma ha perso la sua capacità di memoria costruttiva. La giusta necessità di dire «mai più» quando si parla di Olocausto non deve essere l'unico modo di affrontare il passato. Bisogna collegare al ricordo un ulteriore aspetto costruttivo, il ricordo deve diventare attivo. Naturalmente, l'Olocausto deve essere riconosciuto da tutto il mondo, incluso dal popolo palestinese; deve essere studiato e compreso affinché non si ripeta. Mai e da nessuna parte.

Edward Said lo ha capito bene e ha combattuto contro la stupidità e la crudeltà dei negazionisti. Sapeva che la mancanza di comprensione della devastazione umana generata dall'Olocausto e la sua negazione razzista avrebbe aperto la porta alla possibilità di ripetersi, e sarebbe diventato un atto crudele sia per la memoria dei morti sia per l'esistenza dei sopravvissuti. Ma comprendere, come diceva Spinoza, ha un significato più profondo: conoscere e comprendere sono due cose diverse. La conoscenza è qualcosa che si accumula, la comprensione invece nasce da un profondo processo del pensiero e porta alla libertà. Tradotto nel ricordo dell'Olocausto, questo significa che conoscere comprendendo l'essenza dell'evento ci permette di non essere schiavi di quella memoria che non dobbiamo dimenticare. Altrimenti, forniremo alibi alle tendenze antidemocratiche e militari, che mettono seriamente in pericolo il presente e il futuro, tanto della società israeliana quanto di quella palestinese. L'orrore della disumanità dell'Olocausto e della sua tragicità appartengono all'umanità intera. Sono convinto che, solo quando sapremo vederlo per quel che è stato, ci darà la necessaria chiarezza di pensiero e la giusta capacità emotiva per affrontare il conflitto con i palestinesi. Se è vero che i palestinesi non potranno accettare Israele senza accettare anche la sua storia, compreso l'Olocausto, è altrettanto vero che Israele non potrà accettare i palestinesi finché l'Olocausto sarà il suo unico criterio morale per esistere. Ma ora che succederà con il nuovo governo? Non solo l'etica della memoria è viziata. Proseguire con l'occupazione, creare nuovi insediamenti e ora anche pianificare l'annessione di territori ha dato ai palestinesi una superiorità morale. Israeliani e palestinesi sono e saranno legati a lungo. Gli israeliani non sono solo gli occupanti e i palestinesi non sono solo le vittime. Ciascuno è l'«altro», solo insieme formano una completa unità. Pertanto, è importante che ciascuno di loro comprenda non solo la propria narrazione, ma anche l'esperienza umana dell'altro. Impariamo dalla musica: non racconta mai una sola storia, c'è sempre un dialogo o un contrappunto. Se c'è una sola voce, quella è ideologia, e ciò non potrebbe mai accadere nella musica. 
Traduzione di Letizia Tortello

"In piazza contro il premier Netanyahu"

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Piazza Rabin a Tel Aviv, sabato sera, era colma di manifestanti ebrei e arabi, almeno 5 mila persone, nonostante le misure di distanziamento imposte dalla polizia. Il via libera, in tempi di coronavirus, era arrivato soltanto venerdì in tarda serata, a shabbat già cominciato. Netanyahu ha ancora l'appoggio di metà dell'opinione pubblica che approva le annessioni, ma deve affrontare una fronda crescente, da sinistra e da destra. L'ultimo sgarbo gli è arrivato dal leader dei sindaci degli insediamenti, David Elhayani. «Trump e Jared Kushner-ha avvertitonon sono amici di Israele. Non hanno a cuore la sicurezza degli insediamenti, si preoccupano solo dei loro interessi, e di farsi rieleggere». Elhayani ha alle spalle un blocco 750 mila persone, 400 mila nella West Bank e 350 mila a Gerusalemme Est, e non accetta il piano americano così com'è.

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