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La Stampa Rassegna Stampa
07.06.2020 Sulla Stampa un titolo ignobile contro Donald Trump
Analisi di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 07 giugno 2020
Pagina: 2
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «La grande marcia di Washington per Floyd. Assedio a Trump blindato nel suo bunker»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/06/2020 a pag.2 con il titolo "La grande marcia di Washington per Floyd. Assedio a Trump blindato nel suo bunker" l'analisi di Paolo Mastrolilli.

La Stampa prosegue la campagna contro Trump titolando "Assedio a Trump blindato nel suo bunker". E' un titolo che fa pensare a Hitler nel bunker negli ultimi giorni della Seconda guerra mondiale, un'immagine che non ha niente di vero.

Ecco l'articolo:

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«Questo è un momento storico, cruciale, in preparazione da cent’anni. Non ho mai visto nulla del genere in vita mia. È come quando pensavamo che Barack Obama non sarebbe mai diventato presidente, finché è accaduto». La sfida è tutta qui, come l’ha descritta Lesley Edmond, marciando ieri con i figli su Lafayette Square a Washington, l’ex mercato degli schiavi a due passi dalla Casa Bianca, dove ieri hanno manifestato decine di migliaia di persone. La morte di George Floyd, che ha spinto milioni di persone a protestare in tutto il mondo, da New York a Tokyo, dall’Australia e l’Africa all’Europa, riuscirà a trasformarsi in un movimento politico, capace di cambiare alla radice le cause del malessere globale a cui ha dato voce? Verrà dirottata dai violenti, dando a Trump la scusa per ottenere la conferma a novembre come presidente della legge e dell’ordine? Oppure sparirà nel nulla, come in fondo era accaduto con la rabbia seguita agli abusi di Ferguson, Baltimora, New York, e tutta la stagione che aveva fatto nascere Black Lives Matter? Il presidente Trump ha risposto su Twitter alla grande folla pacifica e perfino gioiosa che ha circondato la Casa Bianca. «Una folla molto più piccola del previsto», ha twittato in serata. Ha ringraziato la Guardia Nazionale, il Secret Service e la polizia di Washington, poi ha accusato la Cnn e Msnb di aver cercato di «infiammare» la piazza. Ha più volte ritwittato anche il suo slogan favorito: «Law & Order». Ieri, forse, è stato il giorno della svolta. Subito dopo l’omicidio di Floyd, le reazioni emotive e gli interessi in malafede di estremisti, antifa, surprematisti boogaloo e criminali comuni, avevano preso il sopravvento. Il commissariato 3rd Pricint di Minneapolis dato alle fiamme faceva più notizia dei manifestanti pacifici, che si inginocchiavano in strada per chiedere sinceramente un cambiamento. Il caos aveva dato a Trump la scusa per minacciare l’invio dei militari nelle strade, aveva chiesto il dispiegamento di 10mila soldati a Washington e altre città per sedare le proteste ma il Pentagono rispose no, riferiscono i media Usa, e scattare la foto con la Bibbia in mano, usata come messaggio in codice per la sua base. Ieri, con un ritardo di quasi due settimane, la scena è cambiata. La stessa prima cittadina di Washington, Muriel Bowser, ha rinominato l’incrocio della 16th Street davanti alla Casa Bianca «Black Lives Matter Plaza», lasciando che questa scritta fosse dipinta sulla strada a caratteri cubitali gialli. La Guardia Nazionale c’era, anche se Bowser aveva inviato una lettera al presidente chiedendo di ritirare tutti i militari dalla città, ma non si vedeva. Ad Atlanta i soldati hanno persino ballato la «Macarena» con i manifestanti, prima di accompagnarli in corteo. A Buffalo invece sono stati incriminati Robort McCabe e Aaron Torgalski, per l’assalto contro il settantacinquenne Martin Gugino, finito all’ospedale con la testa rotta per i loro spintoni. Però 57 colleghi dei due poliziotti si sono dimessi in solidarietà con loro, a dimostrazione di quanta strada resti ancora da fare, per cambiare la mentalità con cui si mantiene l’ordine in America. Così si capisce anche il senso del movimento «Defund the Police», che magari darà a Trump argomenti per accusare i democratici di favorire il crimine, ma in realtà punta a usare l’arma dei soldi per riformare la galassia delle forze dell’ordine comunali, statali e federali, ormai evidentemente fuori controllo. In North Carolina, invece, si è svolto l’ultimo saluto a George Floyd nel luogo dove era nato, in attesa del funerale di martedì a Houston. Trump ha osservato dalla Casa Bianca assediata, trasformata in bunker dalle barriere metalliche alzate per proteggerla. E come al solito ha attaccato, stavolta la prima cittadina della capitale: «La sindaco Bowser è esageratamente incompetente, in alcun modo qualificata a guidare una città importante come Washington. Se non fosse stato per la Guardia Nazionale, avrebbe fatto la stessa figura del suo collega di Minneapolis». Donald è diventato presidente cavalcando la spaccatura ideologica e culturale dell’America, e punta a ripetere questa strategia a novembre. I violenti fanno il suo gioco, perché gli consentono di presentarsi come il protettore della legge e dell’ordine, convincendo a votarlo non solo la sua incrollabile base, ma magari anche i moderati della maggioranza silenziosa impauriti dai saccheggi. Ha esaltato il calo della disoccupazione, anche se secondo lo stesso dipartimento al Lavoro le statistiche pubblicate venerdì erano sbagliate al ribasso almeno del 3%, perché così spera di far dimenticare i ritardi nella gestione coronavirus e convincere gli elettori a confermarlo. Anche i neri, che per lui sono beneficiati dalla crescita come tutti. Le manifestazioni di ieri però hanno dimostrato che la protesta sta diventando un movimento globale, che va ben oltre le violenze della polizia contro Floyd e gli altri. Esprime un malessere dalle radici profonde, nelle tensioni razziali, ma anche nelle disuguaglianze sociali. E ormai si riassume nelle dure critiche del generale Mattis, non esattamente un estremista scalmanato, che ha accusato Trump di essere «il primo presidente nella mia vita che non cerca di unificare il Paese, e nemmeno fa finta di provarci. Quello che vediamo in questi giorni è il risultato di tre anni senza una leadership matura». La leadership però è un problema anche per la protesta, perché finora non si è manifestata. Le stesse marce di ieri sono state pacifiche, almeno fino al tramonto, ma scoordinate. L’incognita è se il candidato presidenziale democratico Biden, magari aiutato da una vice nera, abbia la capacità di impersonarla, unificarla, e indirizzarla al voto il 3 novembre.

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