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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
07.06.2020 La sinistra italiana e gli ebrei
Recensione di Raffaele Liucci

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 07 giugno 2020
Pagina: 6
Autore: Raffaele Liucci
Titolo: «La sinistra e gli ebrei, un rapporto difficile»

Riprendiamo dal SOLE24ORE/DOMENICA di oggi, 07/06/2020, a pag.6, con il titolo "La sinistra e gli ebrei, un rapporto difficile" la recensione di Raffaele Liucci al libro di Alessandra Tarquini.

Mercoledì 24 giugno alle ore 21:00 l'Unione delle Associazioni Italia Israele organizza una conferenza virtuale, sulla piattaforma ZOOM, per presentare il libro di Alessandra Tarquini, che verrà intervistata da Antonio Donno. Chi è interessato a partecipare può scrivere a takinut@gmail.com, riceverà le credenziali d'accesso e il link.

Ecco l'articolo:

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Raffaele Liucci

La copertina del libro di Alessandra Tarquini, La sinistra italiana e gli ebrei. Socialismo, sionismo e antisemitismo dal 1892 al 1992, il Mulino 2019, pp. 309, 22,00 euro

Essere il convitato di pietra della sinistra italiana. Questa, secondo Alessandra Tarquini, la sorte toccata agli ebrei nel corso del Novecento. Di volta in volta reputati una minoranza oppressa, un popolo di piccoli commercianti, una élite finanziaria, una nazione dispersa, costoro erano difficilmente inquadrabili nel più vasto progetto socialista di liberazione del genere umano. Onde le incomprensioni, gli attriti, le ostilità, ben documentati in questo libro: il primo ad affrontare il tema con uno sguardo di lungo periodo. Quella raccontata dall'autrice - docente alla Sapienza di Roma - è una storia di uomini e donne, ma anche di intellettuali (da Cesare Lombroso a Pier Paolo Pasolini), di dottrine e movimenti politici (il sionismo), di fenomeni dalle radici antiche (l'antisemitismo), di nuovi Stati (Israele) e di partiti oggi estinti (fruttuosi gli scavi presso gli archivi di Psi e Pci). Il volume si apre nell'Italia del 1892, annodi fondazione del partito socialista. Da trent'anni gli ebrei (circa 40mila) erano ormai liberi cittadini, integrati nel nuovo Stato unitario. L'antisemitismo - scriveva nel 1894 il noto scienziato Cesare Lombroso, aderente al nuovo partito - sembrava il retaggio di un'epoca premoderna, destinato a scomparire con l'avvento del socialismo. Quando però a fine agosto 1897 si svolse a Basilea il primo congresso sionista, organizzato da Theodor Herzl, buona parte dei socialisti si trovò spiazzata di fronte a quello strano movimento che predicava il ritorno a Gerusalemme e il risorgimento nazionale degli ebrei, indebolendo l'unità della classe operaia.

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Alessandra Tarquini

Nascendo assimilazionista e antisionista, sostiene Tarquini, la sinistra italiana non colse la specificità della condizione ebraica e la vera natura dell'antisemitismo, un fenomeno tutt'altro che residuale nel Novecento. Questo spiega la difficoltà di socialisti e comunisti a comprendere i motivi della persecuzione razziale e della Shoah. Incapaci di afferrare la dimensione moderna e totalitaria di fascismo e nazismo, la sinistra di matrice marxista «trattò il genocidio degli ebrei con indifferenza, come si guarda qualcuno senza vederlo». Se, come sosteneva Emilio Sereni, le ragioni dell'ebraismo coincidevano con quelle dell'intera umanità offesa da Hitler, gli ebrei non erano da considerarsi vittime speciali. Forse anche per questo nel 1946 la casa editrice Einaudi bocciò il memoir di Primo Levi, Se questo è un uomo. La nascita, il 14 maggio 1948, dello Stato di Israele sembrò rimescolare le carte. Subito riconosciuto dall'Unione Sovietica, governato dai laburisti e imperniato sui kibbutzim, il nuovo Paese fu ben accolto dalla sinistra nostrana. Ma l'entusiasmo durò poco, spento dalla guerra fredda. «I rapporti fra sinistra italiana e Israele», scrive Tarquini introducendo una delle maggiori novità della sua ricerca, «incontrarono una serie di difficoltà già alla fine degli anni Quaranta e non, come spesso si afferma, dopo la guerra dei Sei giorni del 1967 che certamente determinò un cambiamento, ma aveva alle sue spalle una guerra lunga vent'anni». Dai primi anni Cinquanta, infatti, soltanto i socialdemocratici di Saragat rimarranno apertamente filoisraeliani, mentre socialisti e comunisti riscopriranno l'antisionismo. «Gli aiuti militari ed economici, ottenuti in questi annidi "indipendenza" dal governo americano, hanno ridotto Israele ad una colonia dell'imperialismo», scrisse nel 1953 un giovane storico di simpatie trotskiste iscritto al Pci, Renzo De Felice (maestro dell'autrice). Tre anni più tardi, dopo l'invasione sovietica dell'Ungheria, De Felice lascerà il Pci avvicinandosi all'area socialista. Fu proprio il partito di Nenni, nel frattempo cooptato nella stanza dei bottoni, a rivalutare gradualmente Israele negli anni Sessanta, mentre i comunisti mantenevano la propria diffidenza (fra le poche eccezioni, Umberto Terracini e, fra gli intellettuali, Pier Paolo Pasolini). Paradossalmente, sarà Bettino Craxi a superare a sinistra il Pci nei dorati Ottanta, diventando «uno dei principali protettori dell'Olp» di Arafat. Il 6 novembre 1985, nell'infuocato clima post-Sigonella, il leader del Psi paragonò la lotta armata dei palestinesi alle imprese di Mazzini, provocando una pubblica protesta dei giovani ebrei romani, nonché le aspre critiche di alcuni compagni di partito, da Giorgio Gangi a Giorgio Sacerdoti. La diligente ricostruzione di Alessandra Tarquini si conclude nel 1992, con la dissoluzione della prima Repubblica e l'uscita di scena di Psi e Pci, mentre in Israele una destra agguerrita scalzava l'egemonia laburista. Resta lo spazio per due glosse. Innanzitutto, all'origine del rapporto complicato fra «la sinistra e gli ebrei» non vi è solo Israele e, ancor prima, il sionismo, ma forse anche l'innata propensione della cultura progressista hegelianeggiante a ragionar per grandi schemi e narrazioni, confondendo le categorie assolute (un fantomatico ebreo universale) con quelle storicamente determinate (gli ebrei in carne e ossa), come denunciò nel volumetto Sinistra e questione ebraica il militante comunista Luciano Ascoli. Lo stesso Marx, nel suo celebre scritto del 1844 (Sulla questione ebraica), aveva preso a modello un ebreo astratto, epitome di un capitalismo da superare. Vi è poi il problema più spinoso. Che l'antisemitismo sia un fenomeno trasversale che ha lambito anche la sinistra è ormai un fatto riconosciuto (si veda il saggio einaudiano di Gadi Luzzatto Voghera, Antisemitismo a sinistra, 2007). Del resto, come premette l'autrice, l'antisemitismo moderno nacque proprio nell'alveo dei socialisti utopisti francesi (Charles Fourier, Alphonse Toussenel, Pierre-Joseph Proudhon). Per giungere a tempi più recenti, pregiudizi antiebraici sono rintracciabili in film pur realizzati con le migliori intenzioni, come L'ebreo errante di Goffredo Alessandrini (1948) e Kapò (196o) di Gillo Pontecorvo, applauditi dalla stampa progressista; oppure in una silloge di racconti per bambini di Antonio Baldini, La strada delle meraviglie, riproposta da Einaudi nel 1974. Anche la nuova sinistra extraparlamentare (e antimperialista) ci mise del suo nei turbolenti anni Settanta, intensificando la sovrapposizione fra «ebreo», «israeliano» e «sionista». Resta tuttavia difficile stabilire dove finisca l'inconscio stereotipo antiebraico (in cui incorsero pure giornalisti filoisraeliani come Augusto Guerriero e Indro Montanelli) e inizi il vero e proprio odio antisemita. In ogni caso, come riconosce la stessa autrice, «le espressioni di radicale antisionismo e di antisemitismo incontrate in questo libro non sono paragonabili a quelle espresse dalla destra, da una parte del mondo cattolico, o dai regimi totalitari».

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