Come gli Stati Uniti affrontano il problema del razzismo Editoriale di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 07 giugno 2020 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «La ferita razzista e il cuore dell’America»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 07/06/2020, a pag. 1, con il titolo "La ferita razzista e il cuore dell’America", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Una manifestazione contro il suprematismo bianco a Minneapolis
La grande manifestazione di Washington contro il razzismo in America descrive la profondità della ferita causata dall'uccisione di George Floyd, trasformatasi in un tema centrale della campagna presidenziale che si concluderà i13 novembre. La ferita tocca al cuore l'America perché investe il rapporto fra i cittadini e la Dichiarazione di Indipendenza del 1776 che attesta come «tutti gli uomini sono creati uguali». Tale principio di assoluta eguaglianza, alla base della Costituzione del 1789, ebbe un peccato originale a causa della schiavitù dei neri che venne abolita solo nel 1865, con il XIII emendamento approvato dopo la conclusione della Guerra Civile con la vittoria dell'Unione di Abramo Lincoln sulla Confederazione di Jefferson Davis. Da quel momento la ferita del razzismo, ereditata dalla schiavitù, ha accompagnato e segnato lo sviluppo della democrazia americana. E ha dato vita ad un costante contrasto fra chi vuole unire e dividere la nazione. Nel 2008 l'arrivo del primo presidente afroamericano alla Casa Bianca, Barack Obama, fece parlare di "America post-razziale" ovvero capace di far rimarginare la ferita del "peccato originale" • guardando oltre il colore della pelle. Il democratico Obama scommise sull'eredità del repubblicano Lincoln sin dal discorso iniziale della campagna, l'il febbraio 2007 a Springfield in Illinois, richiamandosi al suo impegno per «unire la casa comune». Con quelle parole Obama chiese a tutti i cittadini di contribuire a vincere la sfida post-razziale e un mese dopo, da Selma in Alabama, fece il passo successivo, questa volta rivolgendosi solo agli afroamericani per chiedere loro di diventare la "Generazione di Giosuè", capace di costruire la Terra Promessa grazie alle vittorie sui diritti civili ottenute dalla "Generazione di Mosè" guidata dalle marce di Martin Luther King. La ricetta di Obama si basava sulla convinzione che l'eredità di Lincoln per tutti gli americani e l'esempio di Martin Luther King per gli afroamericani avrebbero potuto accompagnare la nazione verso l'obiettivo più ambizioso. Mala doccia gelata per Obama arrivò nel 2009 quando ü sergente James Crowley della polizia di Boston arrestò il docente afroamericano di Harvard, Henry Louis Gates, dentro la sua stessa casa, accusandolo di «comportamento disordinato» su denuncia di un vicino. Obama e il vice Biden, consapevoli che le tensioni fra agenti bianchi e cittadini afroamericani sono la più. feroce cartina di tornasole del razzismo, si spinsero fino ad invitare Crowley e Gates nel giardino della Casa Bianca per un "summit della birra" nel tentativo di trasformare quell'atto di intolleranza in un modello di riconciliazione post-razziale. Ma quel tentativo fallì e da allora il numero e l'entità di tali gravi episodi non sono diminuiti, con una dinamica simile in più città e contrasti razziali in crescita. Sullo sfondo di una presidenza Trump che dal 2016 non ha dimostrato di volerli placare e di una crescente rabbia fra gli afroamericani che ha spinto il partito democratico su posizioni sempre più radicali. In particolare la scelta di Trump di puntare sulla conflittualità interna per consolidare il proprio elettorato ha portato a moltiplicare le tensioni inter-razziali, spiegando perché un conservatore come l'ex capo del Pentagono James Matthis lo ha accusato di «violare la Costituzione» ipotizzando l'uso dell'esercito «contro chi esercita il diritto alla protesta» e perché ieri il movimento "Black-Lives Matter" ha sfilato nel cuore della capitale indicando proprio nel presidente il suo primo avversario. E questa cornice che, sommata alle devastazioni economiche•sociali causate dal Covid 19, spiega perché l'uccisione di Floyd viene vissuta dalla maggioranza degli americani - democratici o repubblicani, liberal o conservatori - come il più pericoloso salto all'indietro. Ovvero come il rischio che il fallimento del sogno di Obama assuma dimensioni tali da minacciare l'eredità di Abramo Lincoln e Martin Luther King, travolte da un'avversione per il prossimo che è la negazione dei principi e dello spirito della Costituzione americana. È questo il timore che si respira in questi giorni in tante famiglie americane, scioccate dalla morte di Floyd, impaurite dai saccheggi, indebolite dal Covid 19 e prive di nuovi leader a cui guardare nell'Election Day. Da qui l'importanza della reazione di Quincy Floyd, figlio di George, sul bisogno di «giustizia per tutta la nazione», dell'appello del deputato della Georgia Joe Lewis - ex compagno di marce di Luther King - affinché «la follia dei saccheggi abbia termine», della scelta di Chris Swanson, sceriffo bianco di Flint in Michigan, di sfilare con i manifestanti anti-razzismo, e del gesto di una moltitudine di agenti di polizia di inginocchiarsi davanti alle proteste o tendere la mano a chi avevano davanti. Con azioni e parole che testimoniano il legame con i valori della Costituzione. Così come Mark Milley, capo degli Stati Maggiori Congiunti Usa, ha messo per iscritto la «fedeltà all'idea dell'America ed al popolo americano» firmando una lettera contro l'uso dell'esercito per fermare i saccheggi - proposto dal presidente Trump richiamandosi all'Insurrection Act del 1807 - in sintonia con la posizione presa da Mark Esper, capo del Pentagono, nell'opporsi a decisioni che «tentano di dividere il popolo americano». Sono le voci di un Paese che ancora crede nei principi della Costituzione e percepisce il razzismo come la più temibile minaccia ma è in cerca di leader capaci di unirla. Perché per una nazione di pionieri, esploratori e coloni formatasi sfidando ogni frontiera, la minaccia più grande è la lacerazione interna.
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