|
|
||
I pro e i contro di Donald Trump
Analisi di Antonio Donno Donald Trump Al momento, è impossibile dire quanto la gravissima disoccupazione presente negli Stati Uniti a causa del Covid-19 e le rivolte che sono seguite all’uccisione dell’afroamericano George Floyd da parte della polizia di Minneapolis possano pesare sulla posizione di Donald Trump a cinque mesi dalle elezioni presidenziali. Certo, la coincidenza di questi due gravissimi fatti non gioca a favore del presidente americano. D’altro canto, bisognerà vedere quanto queste vicende potranno avvantaggiare la posizione di Joe Biden. Benché Trump non sia responsabile – questo è più che evidente – né dell’uno né dell’altro fenomeno che sta mettendo in subbuglio la società americana, non è difficile prevedere che la disoccupazione e l’uccisione dell’afroamericano saranno sfruttati per mettere in crisi la campagna elettorale di Trump. L’elettorato di ogni paese democratico è estremamente sensibile a problematiche che lo investono direttamente, anche se non riconducibili a responsabilità dirette dei suoi governanti. Così, il fatto che l’alta occupazione precedente la diffusione del “virus cinese” sia stata cancellata in un tempo così breve da sconvolgere il mercato del lavoro americano e far finire sulla strada milioni di famiglie americane, nonostante gli aiuti federali, potrebbe portare vasti settori della popolazione che nel 2016 avevano votato per Trump a convogliare il proprio voto sull’avversario. Un fenomeno di reazione emotiva che prescinde da ogni valutazione razionale sulle cause reali dell’ondata di disoccupazione. A ciò si aggiunge che la barbara uccisione dell’afroamericano Floyd, in uno Stato del Sud dove il razzismo ha ancora basi sociali molto forti, ha colpito emotivamente proprio la popolazione nera americana che soffre particolarmente della profonda crisi occupazionale dovuta al Covid-19. I due fenomeni, benché separati e in nulla assimilabili, stanno producendo una protesta sociale di enormi dimensioni, abilmente sfruttata da gruppi estremisti di varia natura ideologica. Se Trump dovesse mandare in campo l’esercito per sedare tale protesta, è probabile che la situazione si acuirebbe a danno del presidente americano. Le consuete accuse, benché false, che gli si rivolgono, di essere il capofila del suprematismo bianco yankee sarebbero la base di una campagna elettorale e politica volta a strappare a Trump almeno una parte del suo consenso e a dirottarlo su Joe Biden, alla spalle del quale gioca Benny Sanders, il quale, a sua volta, è alla testa della parte più intransigente dell’elettorato democratico, le cui posizioni di aspra critica della politica di Trump potrebbero avere ascolto presso il settore più moderato dell’elettorale repubblicano, più sensibile ai problemi delle minoranze. Vi è, però, l’altra faccia della medaglia. La vittoria di Trump nelle elezioni del 2016 si caratterizzò in termini di un’opposizione netta dell’elettorato repubblicano nei confronti dell’odiato liberalism dei “padroni dal vapore” del Partito Democratico, di quell’elettorato benestante e ben pensante depositario del “politicamente corretto” e nemico della rozzezza tipica dell’uomo del Midwest e della Rust Belt, la “cintura di ruggine”, ad indicare l’immensa regione tra gli Appalachi e il Grandi Laghi, un tempo motore industriale degli Stati Uniti, poi decaduta per il trasferimento dell’industria nell’Ovest, e fin dalla vittoria di Trump al centro di un piano di riscatto economico promosso dal presidente. Queste posizioni di Trump hanno riscosso l’approvazione della “povera gente” della Rust Belt e, in genere, dell’elettorato delle Grandi Pianure, tradizionalmente conservatore, il cui disprezzo verso la ricca borghesia, beneducata e con la puzza al naso, degli Stati dell’Atlantico è sempre stata una costante del suo atteggiamento politico. A tutto questo si uniscono gli Stati del Sud, una volta democratici, ora in maggioranza repubblicani dagli anni di Nixon. In definitiva, si tratta di un blocco sociale conservatore che rappresenta una metà dell’America contrapposta all’altra metà, in virtù di una visione del proprio paese che risale ai tempi della colonizzazione e che si è radicata nel mainstream di quella popolazione nel corso dei decenni sino a oggi.
Antonio Donno |
Condividi sui social network: |
|
Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui |