Le lezioni dimenticate della Guerra dei Sei Giorni e di Oslo
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Yasser Arafat
L'Europa, che moltiplica le minacce per bloccare un'iniziativa israeliana volta a estendere la legge d’Israele sugli insediamenti, ribadendo fino alla nausea che questa iniziativa porrebbe fine a qualsiasi speranza di una soluzione del conflitto, non prende neppure in considerazione l’ipotesi di esercitare pressioni sull'Autorità palestinese in modo che finalmente quest’ultima accetti un negoziato . Non vuole neppure vedere che negoziare, significherebbe per questa Autorità riconoscere finalmente la legittimità dello Stato ebraico, rompendo così un tabù che ha più di un secolo. Quando nel 1964 fu creata l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, il suo obiettivo non era quello di "liberare" la Giudea, la Samaria e Gerusalemme Est, che allora erano integrate nella Giordania, ma piuttosto Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme per costruire uno Stato palestinese sulle rovine dello Stato ebraico. All'indomani della Guerra dei Sei Giorni - scatenata in risposta alle bellicose azioni dell'Egitto - Israele aveva teso la mano ai suoi nemici di ieri e proposto di restituire le terre conquistate nel quadro di un accordo di pace. La mancanza di volontà pronunciata il 1° settembre dai nove Paesi arabi - Egitto, Giordania, Siria, Libano, Iraq, Algeria, Marocco, Sudan e Kuwait - riuniti a Khartoum, era chiara e definitiva: non ci sarà pace con Israele, non ci sarà il riconoscimento di Israele, non ci saranno negoziati con Israele.
Clinton con Arafat e Barak a Camp David nel 2000
È passato più di mezzo secolo, chi si ricorda ancora di quella mattina del 5 giugno 1967, quando i cannoni giordani iniziarono a bombardare Gerusalemme Ovest? Sono ormai quarant'anni che l'Egitto è in pace con il suo vicino ebreo. La Giordania fece lo stesso nel 1994 e rinunciò ufficialmente a qualsiasi pretesa sulla Giudea e sulla Samaria. I tentativi di risolvere lo status di questi territori, delineati a Camp David nel 1978 sotto l'egida di Menachem Begin e Anwar Sadat, si sono scontrati con l'intransigenza di Yasser Arafat e di altri portavoce dell'OLP. Dovremo aspettare la trattativa di Oslo per giungere agli Accordi che portano questo nome. La Dichiarazione sui princìpi, stipulata il 13 settembre 1993 tra il Primo Ministro israeliano Itzhak Rabin, il Presidente del Comitato Esecutivo dell’OLP Yasser Arafat e il Presidente americano Bill Clinton dà i parametri di negoziazione per regolamentare il problema e prevede un’autonomia palestinese temporanea di 5 anni per giungere alla pace. Era stato stabilito che “al più tardi dopo tre anni, inizieranno i negoziati sullo status definitivo, in cui verranno affrontate le questioni dei rifugiati palestinesi , di Gerusalemme , degli insediamenti israeliani , dei confini definitivi e dei problemi di sicurezza di Israele.” Quasi trent’anni dopo, i negoziati sono ancora in fase di stallo. I testi scolastici palestinesi instillano l'odio nei confronti del vicino ebreo, a cui rifiutano la legittimità e il diritto all'esistenza, mentre l'Autorità palestinese, istituita in conformità con gli accordi di Oslo, incoraggia gli attacchi contro i civili israeliani garantendo una rendita vitalizia ai perpetratori e alle loro famiglie. Attendiamo invano una condanna europea. Arafat prima e il suo successore Abu Mazen poi, hanno respinto uno dopo l'altro tutti i piani di pace proposti dai leader israeliani - dal laburista Ehud Barak al "Likudnik" Ehud Olmert senza mai proporre il proprio piano. Peggio ancora, i leader palestinesi pongono una serie di presupposti per i negoziati e contano sulla pressione internazionale per costringere Israele a piegarsi. Va detto che i successi ottenuti in questo campo rafforzano la loro intransigenza. Sempre più voci come Hamas, Hezbollah e il suo “capo” l’Iran, chiedono la distruzione di Israele; il movimento BDS sta guadagnando gradimento nei campus universitari in America e in Inghilterra. Le recenti dichiarazioni europee che condannano ciò che è ancora solo un progetto israeliano, senza chiedere finalmente ai palestinesi di negoziare in buona fede la fine del conflitto, non farà che gettare altra benzina sul fuoco.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".