Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 02/06/2020, a pag.9, con il titolo "Patto tra Israele e 'Nato araba' per allontanare Erdogan da al Aqsa" il commento di Michele Giorgio.
Il tono dell'articolo di Giorgio è, come al solito, contro Israele. Eppure il pezzo di oggi riporta informazioni che non sono riprese sugli altri quotidiani italiani. In particolare è interessante valutare un possibile cambiamento in seno al Waqf, l'ente che gestisce la Spianata delle moschee a Gerusalemme fino a oggi controllato dalla Giordania. Giorgio però rovescia la notizia in una accusa contro lo Stato ebraico.
Ecco l'articolo:
Michele Giorgio
Gerusalemme: il Monte del Tempio/Spianata delle moschee
Lo scontro tra la Turchia e la "Nato araba" guidata dall'Arabia saudita, in corso in Libia e nel Corno d'Africa, coinvolge ora anche Gerusalemme e la sua Spianata delle moschee. Vede in primo piano il governo israeliano interessato a contrastare Ankara, a oscurare qualsiasi ruolo istituzionale palestinese nella città santa e a stringere i rapporti strategici con Riyadh. Ieri, poche ore dopo la riapertura delle moschee di Al Aqsa e della Roccia, chiuse da settimane per il Covid-19, il quotidiano di destra Israel HaYom, il più diffuso in Israele, vicino al premier Netanyahu, ha rivelato che negoziatori sauditi e dello Stato ebraico dallo scorso dicembre sono impegnati in colloqui segreti, con la mediazione americana, per includere «osservatori» sauditi nel Consiglio del Waqf, la fondazione che cura e amministra i beni e le proprietà islamiche a Gerusalemme, a cominciare dalla Spianata. L'obiettivo, spiega il giornale, è paralizzare attività e progetti avviati a Gerusalemme Est dal presidente turco Erdogan, avversario di Riyadh e degli altri paesi della "Nato araba" (Emirati, Egitto e Bahrain). E la Giordania, custode della Spianata delle moschee, avrebbe accettato il coinvolgimento dei sauditi pur di tenere la Turchia lontano da Gerusalemme.
«SONO COLLOQUI delicati e clandestini, condotti da piccoli team di diplomatici e funzionari di Israele, Stati uniti e Arabia saudita», ha spiegato a Israel HaYom un anonimo funzionario saudita, sottolineando la nuova posizione adottata dalla Giordania. A persuadere il regno hashemita a rimuovere il suo veto alla presenza saudita sarebbe stato il «comportamento» dei rappresentanti palestinesi entrati, con l'approvazione di Amman, nel Consiglio del Waqf in risposta alla decisione di Israele di installare, tre anni fa, metal detector sulla Spianata e agli incidenti tra polizia israeliana e fedeli musulmani lo scorso anno alla Porta della Misericordia. Secondo il giornale israeliano, sarebbero stati i palestinesi ad aprire la strada di Erdogan al sito religioso— terzo luogo santo dell'Islam (il Monte del Tempio per gli ebrei) — con progetti per decine di milioni di dollari affidati a ong turche. Amman per fermare i turchi ha rinunciato alla gestione esclusiva in cambio di generose donazioni saudite per il Waqf di Gerusalemme. Dal Waqf non abbiamo ottenuto un commento ufficiale ma fonti palestinesi ci fanno sapere che lo sceicco Azzam al Khatib, direttore generale della fondazione, definisce l'articolo privo di fondamento e nega il via libera giordano ai sauditi. Occorre considerare che Israel HaYom è una sorta di megafono di Benyamin Netanyahu e potrebbe aver amplificato la notizia a sostegno delle affermazioni del primo ministro riguardo i rapporti che Israele starebbe stringendo con una parte del mondo arabo islamico. Il giornale ha aggiunto che Israele e Usa cercano il sostegno saudita al piano Trump e al progetto di annessione allo Stato ebraico di larghe porzioni di Cisgiordania palestinese, perché Riyadh «porta con sé il sostegno degli Emirati e del Bahrein». Proprio ieri il ministro della difesa israeliano Benny Gantz ha dato ordine al capo di stato maggiore Aviv Kochavi di prepararsi alla attuazione del piano di annessione. L'Arabia saudita a febbraio aveva ribadito che «il miglioramento delle relazioni con Israele avverrà solo quando verrà firmato un accordo di pace conforme alle condizioni palestinesi». In realtà Riyadh e i paesi alleati dietro le quinte hanno stabilito con Tel Aviv un'alleanza strategica, contro l'Iran e la Turchia di Erdogan. Non è un mistero che in Nordafrica il generale e uomo forte di Bengasi, Haftar, riceva dagli Emirati sostegno finanziario e militare contro il governo del premier Sarraj a Tripoli sostenuto e armato da Erdogan.
NELLE SCORSE SETTIMANE sono circolate voci sull'impiego da parte di Haftar di armi di fabbricazione israeliana per abbattere i droni turchi usati dai miliziani agli ordini di Sarraj per riconquistare il territorio perduto. Il portale d'informazione al Monitor, riferisce che l'Egitto ha messo in piedi nel Mediterraneo una sorta di «Santa Alleanza» con Grecia, Cipro, Emirati e Francia per contrastare le mosse turche nel Mediterraneo, in particolare le ricerche di giacimenti di gas.
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