Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/05/2020 a pag.15 con il titolo "Lo strappo di Trump su Hong Kong e Oms: 'Sanzioni commerciali e fine dei rapporti' ", il commento di Francesco Semprini.
Francesco Semprini
Donald Trump
Stop alle esenzioni commerciali ad Hong Kong, ma anche alla relazione con l'Oms. Implacabile arriva la risposta di Donald Trump nei confronti della Cina, da un lato per aver violato la sua promessa di assicurare l'autonomia all'ex colonia britannica, e dall'altro per la gestione del coronavirus. L'amministrazione Usa comincerà il processo per eliminare le esenzioni che conferiscono ad Hong Kong un trattamento speciale, perché con la stretta di Pechino «non è più autonoma», ha annunciato il presidente americano dal Rose Garden della Casa Bianca, promettendo «azioni forti e significative». Inoltre, verranno sanzionati i dirigenti di Hong Kong coinvolti nell'erosione della sua autonomia. A causare escalation di tensioni tra Washington e Pechino sulla situazione nell'ex colonia britannica è stato il via libera del Congresso nazionale del popolo, il ramo legislativo del parlamento cinese, all'adozione della legge sulla sicurezza nazionale della regione autonoma. Le autorità della regione cinese hanno parlato di interferenze che violano il diritto e le pratiche internazionali. Mentre il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian, alla minaccia del segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, di revocare lo speciale status commerciale di Hong Kong, ha replicato: «Pompeo sostiene solo i disordini e la violenza». L'Ue ha condannato Pechino, pur rimanendo contraria alle sanzioni. La battaglia tra le due potenze si combatte anche sul terreno neutro delle Nazioni Unite, dove ieri si è svolta una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza senza tuttavia menzionare il «nodo Hong Kong» come ordine del giorno. Gli Usa avevano infatti chiesto la convocazione immediata del CdS per discutere la misura attuata dal Dragone, definendola una «questione di urgente preoccupazione globale con implicazioni su pace e sicurezza internazionali». Trovando però la categorica opposizione della missione cinese all'Onu, che ha definito la richiesta "infondata": secondo l'ambasciatore Zhang Jun la legislazione sulla sicurezza nazionale di Hong Kong è una questione interna, e «non ha nulla a che fare con il mandato del CdS». Il diniego ha sollecitato la condanna a 4 di Regno Unito, Usa, Canada e Australia nei confronti della Cina. I ministri degli Esteri dei quattro grandi Paesi anglofoni occidentali affermano, in una nota congiunta, che il passo compiuto da Pechino rappresenta una violazione «diretta degli obblighi internazionali» previsti dalla dichiarazione congiunta sino-britannica firmata al tempo della restituzione della colonia e «registrata dall'Onu».
Per aggirare l'opposizione della Cina (per il passaggio della convocazione servono 9 voti su 15 membri del Cds e nessun veto da parte dei membri permanenti Usa, Gb, Francia, Russia e Cina), è stata convocata una riunione a porte chiuse con ordine del giorno "Any Other Business" (AOB), ovvero una sorta di «varie ed eventuali». Un escamotage per riunirsi ugualmente e sollevare poi la questione Hong Kong in corso d'opera, ovviamente il tutto coperto dalla riservatezza ufficiale. Washington ha ribadito che l'opposizione del Dragone alla riunione del Cds «è un altro esempio della paura di trasparenza del Partito Comunista Cinese, e la convinzione di poter sfruttare l'attuale pandemia di coronavirus per distrarre il mondo dal suo assalto a Hong Kong».
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