venerdi 22 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
29.05.2020 Unorthodox, un film da non perdere
Gianmaria Tammaro intervista la regista Maria Schrader

Testata: La Stampa
Data: 29 maggio 2020
Pagina: 16
Autore: Gianmaria Tammaro
Titolo: «Unorthodox, storia universale di dolore e pressione sociale»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/05/2020, a pag.16, con il titolo "Unorthodox, storia universale di dolore e pressione sociale", il commento di Gianmaria Tammaro.

Unorthodox e l'incapacità di guardare “oltre” – UGEI
Shira Haas sulla locandina di Unorthodox (Netflix)

Unorthodox, la serie tv, è uno di quei casi più unici che rari che è difficile riuscire a spiegare. È un'anomalia del sistema. Una storia in yiddish, profonda e appassionante, divisa tra Stati Uniti e Germania, in cui la protagonista è una ragazza ebrea americana costretta a fuggire dalla comunità religiosa di cui fa parte per ritrovare la libertà e ricominciare a vivere. Unorthodox ha avuto fortuna. E il merito è stato principalmente del passaparola tra gli spettatori. Maria Schrader, la regista, dice che è successo tutto abbastanza gradualmente. «Io e Anna Winger, la creatrice, ci siamo conosciute durante le riprese di Deutschland ‘83 e di Deutschland ‘86, e abbiamo iniziato a condividere le nostre idee. Un giorno, è venuta da me e mi ha dato una copia dell'autobiografia di Deborah Feldman, e mi ha detto di leggerla. Quando l'ho finita, ci siamo incontrate di nuovo. Con lei, c'era anche la sceneggiatrice Alexa Karolinski».

Unorthodox” Director Maria Schrader Talks Portraying Satmar ...
Maria Schrader

Chi ha contattato Netflix? «È stata Anna. I vertici si sono immediatamente detti interessati, ma hanno chiesto a lei di produrre la serie. E a quel punto, è stato importante trovare il partner giusto per farlo. Ci è stato dato un anno per finire la lavorazione».
Da dove siete partite? «Abbiamo lavorato prima sul libro, poi sulla prima bozza di sceneggiatura; messi insieme i vari elementi, abbiamo cercato di trovare un equilibrio tra quello che potevamo fare e quello che non potevamo fare. Abbiamo fatto ricerche, ci siamo fatti aiutare da alcuni esponenti della comunità ebraica, e alla fine abbiamo cominciato a girare».
A cosa siete state più attente? «Ai dettagli: i supermercati, i negozi, le case; gli interni, i vestiti e i gesti. Quando abbiamo fatto i provini, per il cast principale e per le comparse, abbiamo cercato attori che sapessero già parlare yiddish; li abbiamo cercati a New York, a Berlino e a Gerusalemme».
E per lei, come regista, qual è stata la sfida più difficile? «Sapevo che non potevamo girare a Williamsburg, a New York, e che dovevamo ricreare le varie location a Berlino, cercando di rimanere il più possibile fedeli. A nostra disposizione avevamo un piccolo budget e poco tempo».
Come ha reagito la comunità ultraortodossa che avete raccontato? «Non ci voleva, e non voleva essere ripresa. Ed è piuttosto strano mettere in scena la storia di persone che non vogliono avere niente a che fare con te. Perché finisci per dubitare di qualunque cosa e di qualunque decisione, e per farti continuamente delle domande».
Qual era il vostro obiettivo? «Volevamo restituire profondità a questo racconto e volevamo che il pubblico, vedendolo, non si immedesimasse solo in Esther, interpretata da Shira Haas, ma anche in tutti gli altri personaggi. Questa serie, dopotutto, è quasi una ricostruzione storica, con costumi precisi, con una sua lingua e con una cultura molto particolare».
Di cosa crede che parli "Unorthodox"? «Al centro di tutto c'è Esther, la sua sofferenza, il suo matrimonio, il suo viaggio a Berlino. Ma anche nella sua specificità, questa storia è universale. Non c'è bisogno di essere religiosi per capirlo. E non è necessario essere nati a New York o Berlino. Quello che colpisce sono il dolore e la pressione sociale a cui viene sottoposta Esther. È l'umanità la vera protagonista di questa serie».
Vi aspettavate questo successo? «Se devo essere onesta, no. Ma le persone hanno subito stretto un legame profondo con Esther. E Unorthodox è riuscita a creare un vero e proprio ponte tra gli spettatori e a riavvicinarci tutti».

Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/065681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT