Ecco come la Cina cancella la libertà a Hong Kong Addio all'autonomia
Testata: Il Foglio Data: 28 maggio 2020 Pagina: 1 Autore: la redazione del Foglio Titolo: «Hong Kong non è più Hong Kong»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 28/05/2020 a pag.1, l'articolo "Hong Kong non è più Hong Kong".
Roma. Non possiamo più considerare Hong Kong una regione che gode di ampia autonomia dalla Cina. Lo ha annunciato ieri il segretario americano Mike Pompeo, in una dichiarazione ufficiale che rischia di avere numerose conseguenze sul piano internazionale. Quello compiuto ieri è soprattutto il primo, sostanziale atto politico e di pressione dell'America contro la Cina sulla questione Hong Kong. La scorsa settimana la Repubblica popolare cinese ha annunciato l'intenzione di discutere una legge che imporrebbe le norme di sicurezza nazionale di Pechino anche sul territorio dell'ex colonia inglese. La legge, che si sta discutendo in questi giorni nelle Due sessioni, non è ancora stata approvata e non se ne conoscono i dettagli, ma per Washington la sua approvazione sarebbe la fine dell'autonomia, la “condanna a morte” delle libertà della città, ha detto Pompeo. Un avvertimento, certo, che aumenta ancora di più le tensioni tra America e Cina. La legge che regola i rapporti tra l'America e l'ex colonia britannica prevede per Hong Kong un rapporto privilegiato con Washington proprio in virtù della sua autonomia. Lo scorso anno, dopo le proteste dei cittadini per una legge sull'estradizione poi ritirata, l'America aveva ampliato l'Hong Kong Act, e a novembre era stato approvato l'Hong Kong Human Rights and Democracy Act, una legge - molto simile al Magnitsky Act, evocato dagli stessi cittadini di Hong Kong e usato da Obama nel 2012 per sanzionare la Russia - che prevede l'imposizione di sanzioni in caso di violazione dei diritti umani. Ma si può anche procedere a una parziale o totale sospensione dello “status speciale” dell'ex colonia, che è l'aspetto più temuto da Pechino. Per la Cina, Hong Kong è importante economicamente: tutte le aziende cinesi con rilevanza internazionale sono quotate alla Borsa di Hong Kong, e fanno scambi con il dollaro di Hong Kong. Ieri il dipartimento di stato americano ha certificato al Congresso che l'autonomia non esiste più, e che quindi si deve passare alle contromisure. Il giorno prima il presidente Trump aveva detto che “stava pensando di fare qualcosa di molto forte” contro l'assertività cinese. Come ha spiegato Reuters, la revoca dello status speciale potrebbe essere un enorme problema per le 1.300 imprese americane operative lì e per i 67 miliardi di dollari di scambi commerciali annui, e c'è da chiedersi se ci sarà un “contagio”: il Regno Unito che farà? E l'Italia, che finora si è espressa sempre e solo come un funzionario cinese (“Sono affari interni della Cina”, hanno ripetuto spesso il ministro degli Esteri Di Maio e il sottosegretario Di Stefano) quale linea politica adotterà? E la Cina, come reagirà? Il pericolo è che la mossa dell'Amministrazione Trump sia solo politica, un modo per far tornare la Cina ai negoziati sulla guerra commerciale. Del resto, ieri è stata una giornataccia per Pechino, dopo che un giudice canadese ha deciso che il processo di estradizione negli Stati Uniti contro Meng Wanzhou di Huawei andrà avanti. E poi ci sono i cittadini di Hong Kong. Ieri si discuteva l'ennesima legge che mina la libertà dei cittadini, quella sul vilipendio dell'inno nazionale cinese. Era il primo giorno di scuola dopo la chiusura per la pandemia, e molti ragazzi che protestavano sono stati fermati e arrestati con ancora lo zainetto sulla schiena. La polizia ha sparato proiettili al peperoncino e ha ammanettato 360 persone.
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