Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi 23/05/2020, a pag.31 con il titolo "La bellezza vive senza mascherina" l'intervista di Anais Ginori a Alain Finkielkraut.
Anais Ginori
Alain Finkielkraut
«Non voglio vivere nel mondo di cretini sorridenti che alcuni tentano di propinarci». Alain Finkielkraut racconta di avere avuto la “pelle d’oca” quando ha letto il manifesto ambientalista di Nicolas Hulot, il popolare ex ministro dell’Ambiente che propone in un lungo testo di costruire un “nuovo mondo” basato sull’empatia, la benevolenza, il rispetto del Pianeta. Il filosofo non vede né auspica una svolta buonista alla fine del tunnel nel quale siamo finiti. «Il mondo che ci aspetta non sarà né migliore né peggiore. È sbagliato ragionare in modo così schematico » commenta Finkielkraut, settant’anni, protagonista di epici scontri intellettuali e vittima un anno e mezzo fa di un’aggressione antisemita da parte di un gilet giallo. È nella sua casa parigina. Risponde al telefono fisso, non ha mai voluto avere il cellulare.
Non è giusto interrogarsi su come possiamo uscire migliori da questa crisi? «Stiamo vivendo una tragedia, e in ogni tragedia c’è una parte di assurdità e contingenza. Molti pensano che questa crisi debba rimettere in discussione la nostra modernità perché l’uomo ha selvaggiamente sfruttato il Pianeta, distrutto habitat naturali, deforestato intere regioni. Il coronavirus sarebbe la vendetta della Natura. Nemesis, la potenza divina che punisce l’ hybris . Non condivido quest’analisi. Preferisco restare modesto. Tanti cedono all’immodestia della colpevolezza».
A chi si riferisce? «La ricerca di colpevoli si traduce in decine di denunce già presentate contro il governo presso la Corte della Repubblica. Si vuole far pagare i responsabili per i ritardi, le contraddizioni sulle mascherine o i test. Qualsiasi errore viene trasformato in crimine. C’è addirittura chi parla di una futura Norimberga del coronavirus. È aberrante. L’ho chiamato nuovo populismo penale».
Come spiega che il giudizio dei francesi su Macron sia così duro? «È una triste eccezione francese. Boris Johnson gode ancora della fiducia dei britannici nonostante abbia ritardato il confinamento, si sia ammalato e abbia portato il Regno Unito a un alto numero di vittime. Se fosse successo qualcosa di simile in Francia, i cittadini avrebbero chiesto la testa di Macron. Siamo quel Paese che continua a voler decapitare i suoi re. È il lato oscuro della Rivoluzione accanto a quello luminoso della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo ».
Riconosce che il governo ha fatto diversi errori? «Personalmente cerco di seguire il consiglio di Raymond Aron: prima di criticare i governanti, provate a mettervi al loro posto. In questa crisi abbiamo visto che la scienza non è onniscienza. La medicina ha lavorato in tempo reale, correggendosi, esitando. E la politica ha seguito lo stesso accidentato percorso».
Da dove viene quest’eccezione francese? «Un giorno bisognerà fare una genealogia del malcontento francese. I cittadini accusano il potere ma al tempo stesso non vedono quanto hanno beneficiato dello Stato Provvidenza. Oltre 12 milioni di francesi sono stati protetti da ammortizzatori sociali, molti di più che in Germania. Negli ospedali non è stata fatta nessuna selezione dei pazienti, tutti sono stati accolti. Eppure domina la collera».
Chi sono i “cretini sorridenti” di cui parla? «Chi pensa che ieri eravamo tutti cattivi e domani, passata questa terribile prova, diventeremo tutti buoni. Mi sembra di vedere i film di propaganda sovietica. È quello che Milan Kundera definisce “kitsch” ne L’insostenibile leggerezza dell’essere . Oggi c’è un kitsch dell’ecologia, e mi duole notarlo. Credo nella causa ambientalista ma non voglio che venga affidata a persone come Hulot o Greta Thunberg per cui la soluzione è eradicare il Male. La realtà non è così semplice. Ce lo insegna la letteratura. Prendete Flaubert, Proust, Svevo, Roth. I libri dovrebbero renderci impermeabili a questi incantamenti».
Di cos’ha nostalgia? «Del silenzio che era quasi scomparso dalle nostre vite frettolose e rumorose. Durante il confinamento il silenzio è tornato. Dovremmo imparare a dargli spazio. Come non lo so, organizziamo una festa del silenzio. In questo momento ho nostalgia dei café che sono una componente della civiltà europea. Non si può immaginare la Francia né l’Italia senza i café ».
E l’immagine di una Parigi che non ha ancora ripreso la sua vita culturale? «Già prima di questa crisi, avevo nostalgia dello charme della vita urbana che ha subito un colpo fatale con l’avvento dei cellulari. La poesia di Baudelaire dedicata all’incontro furtivo di sguardi con una passante oggi non sarebbe possibile. Adesso osservo che quel poco che restava dello charme urbano è stato deturpato dalla mascherine».
È contrario? «Non è un giudizio militante. Probabilmente è giusto indossare una mascherina per proteggere se stessi e gli altri ma non vorrei che diventasse un’abitudine come in Asia. Se me lo chiedono, obbedirò e la porterò anche io. Ma lasciatemi la nostalgia dei volti senza mascherine».
Oggi parliamo di “distanziamento sociale”. Lei che ama tanto le parole, cosa pensa di quest’espressione? «Più che distanziamento, preferisco parlare di distanza. Dovremmo riscoprire il senso delle distanze. Io non ho nessuna nostalgia per i bacetti che si davano i francesi a tutto spiano prima della crisi. Un po’ di distanza aiuta la civiltà. Non significa che bisogna cedere alla virtualizzazione del mondo e rinunciare all’incarnazione di un incontro fisico».
Ci sono momenti in cui ha avuto paura? «Ho vissuto bene il confinamento perché sono abituato a lavorare a casa e mia moglie è rimasta con me. C’è stato un momento in cui ho dovuto fare dei controlli medici. Ho temuto di avere il coronavirus ma era un’altra cosa. L’angoscia che mi attanaglia è legata al mio lavoro. Mi alzo alzo ogni mattina chiedendomi se ho ancora qualcosa da dire».
Ha qualche nuovo progetto di libro? «È quello che cerco nelle mie notti insonni».
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