Sulla Stampa ancora attacchi contro Donald Trump, titoli e vignetta di Staino Nel pezzo di Dario Fabbri
Testata: La Stampa Data: 22 maggio 2020 Pagina: 1 Autore: Dario Fabbri Titolo: «Trump apre la guerra dei cieli»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/05/2020, a pag.1, con il titolo "Trump apre la guerra dei cieli", la cronaca di Dario Fabbri.
Un titolo e un articolo scatenati contro Donald Trump segnano anche oggi la nuova linea della Stampa. Fin dalla prima pagina il presidente Usa è accusato di aprire alla "guerra dei cieli". Il messaggio è confermato dalla vignetta di Staino a pag. 17, che non riprendiamo, ma che definisce Trump "peggio di un tifone".
Ecco l'articolo:
Donald Trump
L'annunciato abbandono da parte americana del Trattato sui cieli aperti (Open Skies) aderisce esattamente all'attuale postura tattica di Washington. Perché è mossa al contempo anti-russa e anti-cinese. E potrebbe condurre alla fine del Trattato per la riduzione degli armamenti nucleari (Nuovo Start). Da tempo gli Stati Uniti considerano la Repubblica Popolare l'avversario più pericoloso ma, per volontà degli apparati federali, si mantengono ostili anche alla Russia, perché temono che riconoscere il Cremlino come partner legittimo metterebbe a rischio il loro controllo sull'Europa - tuttora il continente decisivo del pianeta. Ritirarsi dal trattato Open Skies è poco più di un esercizio di mistificazione. In vigore dal 2002 e sottoscritto da 34 Stati, l'accordo consente soprattutto a russi e americani di realizzare ricognizioni aeree sul territorio altrui per cogliere in anticipo eventuali manovre militari – oltre che mappare le infrastrutture strategiche. Ma da anni è di poca utilità. I satelliti sono assai più efficaci degli aerei nel fotografare quanto capita in ogni angolo del pianeta e la mappatura delle criticità infrastrutturali si realizza con maggiore profitto in dimensione cibernetica. Tanto che lo scorso marzo il Pentagono aveva annunciato di non voler spendere un soldo per ammodernare i vetusti velivoli OC-135 utilizzati nelle perlustrazioni. In questa fase rinnegare Open Skies serve a lanciare molteplici messaggi. Giustificando la decisione con le «molteplici violazioni del patto da parte russa», gli Stati Uniti confermano la propria avversione al Cremlino e comunicano di giudicare impossibile un'aggressione militare ordita da Mosca. In pieno declino, in casa e all'estero, la Russia sogna di trovare un compromesso con Washington, non certo di attaccare il nemico della guerra fredda. Quindi gli americani segnalano a Pechino di volersi affrancare da qualsiasi accordo che ne limiti la proiezione militare. Lo scorso anno hanno ripudiato il Trattato Inf, che impediva il dispiegamento a terra di missili nucleari di gittata intermedia, perché i cinesi non figuravano tra i firmatari. In vista di un possibile conflitto con la Repubblica Popolare, gli Stati Uniti intendono dotarsi dello stesso margine di manovra del rivale, disponibili ad accettare limitazioni soltanto se sottoscritte dalla dirigenza pechinese. Per questo, mentre rivelava il destino di Open Skies, Donald Trump spiegava che potrebbe lasciare anche il trattato russo-americano di limitazione degli armamenti nucleari, se i cinesi non aderiranno alle medesime condizioni. Siglato nel 2010 e in scadenza il prossimo febbraio, il cosiddetto Nuovo Start fissa per Washington e Mosca il limite di 1550 testate nucleari e di 700 vettori utilizzabili. Margini entro i quali non deve stare Pechino, oggi in possesso di circa 300 testate nucleari ma che, secondo dichiarazioni (semi)ufficiali degli apparati comunisti, nei prossimi anni potrebbe espandere fino a 1000. Troppo per gli Stati Uniti che temono d'essere colti di sorpresa dal riarmo cinese. E che intendono restare contemporaneamente nemici della Russia e della Cina, anziché giocare gli uni contro gli altri, come previsto dalla grammatica strategica. Almeno finché la Repubblica Popolare non sarà concretamente in grado di insidiare la supremazia a stelle e strisce.