Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, a pag. 10, l'articolo di Lea Melandri dal titolo "L'intreccio di potere tra sessismo e razzismo".
Lea Melandri non si è mai interessata davvero ai diritti della donna in Italia e alla negazione di questi nei Paesi islamici, di cui il velo imposto è simbolo.
Tra le più note femministe negli anni '70, tanto rigorosamente comunista quanto rivoluzionaria, le sue crociate ideologiche non hanno lasciato traccia, la liberazione della donna è andata avanti con le riforme sociali, da lei sempre trascurate. Non stupisce l'attribuzione dell'Ambrogino d'oro nel 2012 da parte del Comune di Milano. Normale che la condizione della donna nei paesi islamici non la interessi.
Il caso Silvia/Aisha è l'ennesima occasione per qualche dotta citazione a dimostrazione che si può e si deve trattare il terrorismo islamista come una delle tante ideologie criminali che l'hanno coinvolta durante la sua lunga carriera soit disant femminista.
Ecco l'articolo:
Lea Melandri
Lo scontro di civiltà basato sulla religione, come se si potessero classificare gli abitanti del pianeta sulla base di una identità unica, è l'arte con cui gli "istigatori della violenza" - scrive Amartya Sen (Identità e violenza, Laterza 2006) - «costruiscono contrapposizioni immaginarie, destinate a trasformarsi con una rapidità sorprendente in guerre reali». Per come è comparso nel dibattito pubblico dopo I'11 settembre si potrebbe dire che la semplificazione è stata ancora più radicale: è diventato civiltà e barbarie, Bene e Male, Occidente e terrorismo islamista. La liberazione di Silvia Romano, dopo diciotto mesi di sequestro da parte del gruppo di jihadisti somali di al-Shabaab, lo ha fatto tomare improvvisamente di attualità, insieme a una campagna violenta di insulti in cui si sono mescolati e confusi il suo essere donna, la scelta di cooperante in un Paese africano, e la sua conversione all'Islam, confermata dall'abito con cui si è presentata al suo arrivo a Ciampino davanti ai rappresentanti dello Stato italiano: il premier Conte e il Ministro degli Esteri, Di Maio. Che quel "barracano verde" - come lo ha definito su La Stampa Domenico Quirico - portasse il peso della lunga prigionia e della violenza del sequestro, e al medesimo tempo la volontà esplicita di Silvia dimostrado come "simbolo" di un cambiamento profondo avvenuto in lei, è stato evidente. Più difficile da portare allo scoperto è l'intreccio o la sovrapposizione trai pregiudizi con cui si guarda a una donna che non si conforma a ruoli considerati per la sua appartenenza di sesso "naturali" e quelli che appartengono a differenze etiliche, culturali, razzializzate.
Si può dire che l'aggressione di stampo sessista e razzista Silvia l’ha conosciuta e retta con forza due volte nel suo sequestro in Africa e al suo ritorno in Italia In modo, si potrebbe dire speculare, la 'patria" e il "paese straniero", l'Italia e le sue ex-colonie considerate un tempo luogo di sfruttamento e "civilizzazione", hanno mostrato una parentela che sembra attraversare la storia senza variazioni e cambiamenti, e cioè la centralità che ha sempre avuto il corpo femminile nelle guerre tra popoli, come difesa di presunte identità nazionali o "purezze" etniche, oltre che terreno di conquista. Generatrici di "martiri" per i guerrieri della jihad e di "eroi" per la "civile" Europa l'offesa imperdonabile che le donne potevano arrecare all' "onore" dei padri e alla salvaguardia dei valori patriottici, è sempre stata la "contaminazione" col nemico sotto ogni aspetto, sessuale, culturale, religioso, di patteggiamento o sottomissione. È accaduto, volendo citare solo alcuni casi su cui si è molto discusso, per Hina Salem e per Sanaa Cheema, uccise dai famigliari per aver scelto modi di vivere occidentali e aver desiderato sposare un italiano. Non sono borse mossi dallo stesso violento pregiudizio, patriarcale e razzista, gli insulti rivolti alla giovane cooperante che, dopo aver deciso di portare la sua opera umanitaria a quelle stesse popolazioni che il governo italiano vorrebbe fuori dai suoi confini, ritorna con un nome straniero e con l'abito di una religione che per molti italiani significa terrorismo? Di che cosa padano le illazioni sul suo sorriso, la mano sul ventre, la dichiarazione di essere stata trattata con rispetto, se non di una relazione o sottomissione "all'altro" - il diverso, il "barbaro" torturatore -, a cui il sesso femminile sembra più incline, ancora una volta per sua "natura"? Qualche commentatore ha parlato, a questo proposito, di Sindrome di Stoccolma, senza tener contro che è già chiara, nella definizione che ne viene data la chiave di lettura che ci conduce al rapporto di potere tra i sessi, a quel perverso annodamento tra amore e violenza che è il sessismo, intreccio di potere e vita intima - sessualità, legami famigliari -, tale da far sì che le donne, sia pure forzatamente, facessero propria la visione del mondo di chi è per Imo un "tenero figlio", prima che un padrone e aggressore. «Il soggetto affetto dalla Sindrome di Stoccolma - si legge su Wikipedia - durante i maltrattamenti subiti prova un sentimento positivo nei confronti del proprio oppressore, che pub spingersi fino all'amore e alla totale sottomissione volontaria (...) viene ritenuta un caso particolare del fenomeno più ampio dei legami traumatici, ovvero quei legami fra due persone delle quali una gode di una posizione di potere nei confronti dell'altra che diviene vittima di atteggiamenti aggressivi o di altri tipi di violenza». Anche senza riferimento agli "stupri etnici" - l'arra di guerra per umiliare il nemico, colpirlo nella 'purezza" della sua progenie -, per far cadere sulle donne la vergogna e la colpa del tradimento della patria e dei suoi valori, basta il pregiudizio sessista, antico quanto la nostra storia greco-romano-cristiana, che attribuisce alle donne una "immensa vulnerabilità" e una "profonda organica mendicità". «...bisogna rammentarsi dell'immensa influenzabilità, meglio, benché più brutto a dirsi, imprimibilità della donna In questo libro non abbiamo fin qui ancora dato peso a tale facile accettazione delle opinioni altrui questa capacità di impregnarsi delle opinioni maschili, questa accettazione di un imperativo per lei completamente eteronomo» (Otto Weininger Sesso e carattere,1903) il fatto che Silvia Romano, dopo mesi di sofferenza fisica e psichica non abbia avuto parole di rabbia e disprezzo per i suoi sequestratori, espressione del peggior fondamentalismo islamico, è stato interpretato non a caso come una possibile relazione sentimentale con qualcuno di loro. la parola "impregnarsi", pur non essendo stata usata, si pub dire che è ricomparsa di fatto nel suo duplice significato: di gravidanza e di interiorizzazione del pensiero e della volontà dell'altro. Le tante congetture sulla conversione di Silvia Romano - se sia stato obbligo o scelta - hanno senso solo se riportate a un intenogatorio più generale che significato abbia un "consenso" posto all'interno di un dominio del tutto particolare, che passa attraverso le vicende più intime e che forse per questo emerge alla coscienza con tanta lentezza.