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Diego Gabutti
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Pasternak e Ivinskaja 20/05/2020
Pasternak e Ivinskaja
Commento di Diego Gabutti

Pasternak e Ivinskaja: Il viaggio segreto di Živago eBook: Mancosu ...
Paolo Mancosu, Pasternak e Ivinskaja. Il viaggio segreto di Živago, Feltrinelli 2020, pp. 624, 35,00 euro, eBook 24,99 euro.


De gustibus, ma a differenza dei Tre moschettieri, o di Delitto e castigo, che sono piaciuti a chiunque li abbia letti, non a tutti è piaciuto Il dottor Živago. Io, quando l’ho letto, l’ho letto con fatica: mi sembrò melenso. Ma proprio perché melenso piacque a David Lean, che ne trasse un film strappacore (per di più subito dopo Lawrence d’Arabia, un film senza leziosaggini, praticamente perfetto). Piacque poco, si racconta, anche al massimo slavista italiano, il grande Angelo Maria Ripellino, autore di Praga magica e di Letteratura come itinerario nel meraviglioso. Ripellino lesse il romanzo di Boris Pasternak nel 1956, in Polonia, ospite del critico letterario e sceneggiatore cinematografico Ziemovit Fedecki, che così avrebbe descritto la scena: «Il prof. Ripellino mi ha fatto visita a Varsavia su indicazione di Pasternak. Ricordo di averlo accompagnato in una stanza preparata apposta per l’occasione, ho appoggiato sul tavolo una macchinetta per il caffè e l’ho lasciato solo col dattiloscritto [del Dottor Živago]. Non è che il suo parere sul romanzo fosse chissà quanto negativo: lo ha un po’ deluso e annoiato, sia la parte in prosa che quella in versi. Dopo due ore di lettura il sig. Ripellino bussa alla mia porta e fa: “E se invece andassimo al cinema?”» Ripellino, un tifoso del Pasternak «cubofuturista» degli anni dieci e venti, non poteva approvare che Pasternak non avesse più «orecchio», come spiegò lo stesso Pasternak nella sua splendida Autobiografia del 1958, «per la stravaganza, per l’eccentricità». All’Unione degli scrittori, e in particolare al suo segretario, Aleksej Surkov, Živago non piaceva per invidia, perché Pasternak era Pasternak e loro delle nullità. Gelosi e inetti, rimproveravano a Pasternak il suo «spirito reazionario» e la sua «oscurità». Anche Nina Berberova, per la verità, era dell’idea che i versi di Pasternak fossero oscuri e nella sua autobiografia, Il corsivo è mio, Adelphi 1989, definì il suo stile «rococò sovietico». Evgenij Evtušenko, poeta bolscevico, non era d’accordo circa l’oscurità delle rime di Pasternak e commentò questi giudizii con un epigramma: Sempre più la critica ritiene Il Pasternak astruso per la gente, e io invece lo comprendo bene: che del popolo io sia più intelligente? Non piaceva al partito per le ovvie ragioni: senza essere un «libello antisovietico», come sbraitava Surkov fingendosi indignato, Il Dottor Živago non era neppure una di quelle ridicole e pompose storie fantasy che in URSS, dagli anni trenta in avanti, venivano rubricate alla voce «realismo socialista». Qualunque cosa fosse, e comunque lo si volesse giudicare, bello o brutto, noioso o appassionante, il romanzo di Pasternak non era opera da liquidare con un sommario criterio estetico da salotto letterario o da scambio d’opinioni in libreria. Una volta – ricorda Iosif Brodkij – «[eravamo a casa di Anna Achmatova] e discutevamo di Una giornata di Ivan Denisovič quando un mio amico disse: “Non mi è piaciuto”, al che Achmatova replicò: “Che genere di commento è ‘mi è piaciuto’, ‘non mi è piaciuto’? Il punto è che un libro come questo dovrebbe essere letto da duecento milioni di russi”. Fine della discussione, no?» Valeva anche per Il Dottor Živago: un libro che, al di là dei suoi meriti letterari, doveva essere letto da tutti. Secondo il dissidente Jurij Mal’cev, autore di L’«altra» letteratura, una storia del samizdat sovietico, La Casa di Matriona 1976, il romanzo di Pasternak fu «molto più d’un libro: un evento storico». Živago – la cui trama da feuilleton e persino un po’ da Harmony fece saltare sulle sedie l’intero parterre bolscevico, da Nikita Sergeevič Chruščёv a tutti i membri dell’orwelliana Unione degli scrittori sovietici – generò a sua volta una trama da feuilleton che Paolo Mancosu, matematico e insegnante di filosofia a Berkeley, California, aveva cominciato a illustrare e sgrovigliare, qualche anno fa, nel suo Živago nella tempesta, un libro del 2013. Sette anni dopo esce il sequel, Pasternak e Ivinskaja, altrettanto avvincente. Dapprima in forma di dattiloscritto contrabbandato in Occidente dal giornalista comunista Sergio d’Angelo, poi di prima edizione mondiale nelle edizioni Feltrinelli di Milano e di prima edizione in lingua russa, il romanzo di Pasternak, andò incontro ad avventure editoriali da feuilleton mentre intorno impazzava la sarabanda degl’interventi di CIA e KGB, degli sfrontati contrordini del Pc italiano (Rossana Rossanda, Ambrogio Donini, lo stesso Togliatti) che intimavano a Giangiacomo Feltrinelli, ai tempi iscritto al PCI, di desistere dalla pubblicazione di un’opera così spudoratamente antisovietica, dei tentativi di far pervenire a Pasternak qualche diritto d’autore. Fu un crescendo d’avventure. Pasternak, che grazie a Živago vinse nel 1958 il Premio Nobel, e che a causa della sua fortuna letteraria in Occidente finì sempre più nel mirino dal potere sovietico, non capì mai bene come funzionavano le regole del copyright (e in generale del diritto) in Occidente, quindi creò enormi problemi contrattuali a Feltrinelli, prima conferendogli pieni poteri su Živago, poi assegnando poteri analoghi sull’Autobiografia e altre opere anche alla sua traduttrice francese, la giovane contessa e slavista parigina Jacqueline de Proyart de Baillescourt. D’Angelo, al quale fu fatto credere che Pasternak, morto nel 1960, gli avesse fatto dono della metà delle royalties del romanzo, intentò negli anni sessanta una causa contro le edizioni Feltrinelli, che naturalmente perse. Olga Ivinskaja, la compagna di Pasternak, e Irina Yemelianova, la figlia di Olga, scontarono anni di gulag per aver ricevuto, vivo Pasternak, alcune rimesse clandestine di denaro dai suoi conti occidentali. Morto Pasternak, nel tentativo di recuperarlo all’ortodossia comunista, l’Unione scrittori e il tribunale socialista sostennero che era lei – Olga Ivinskaja, «l’amante del poeta», una donna di cui si conosceva nome e cognome (assicurava Surkov a Isaiah Berlin) di almeno «74 altri amanti prima e dopo la grande guerra patriottica» – la vera autrice o almeno l’ispiratrice del romanzo pubblicato da Giangiacomo Feltrinelli, l’editore che, pochi anni dopo aver coraggiosamente pubblicato Il dottor Živago, passò alla guerriglia e morì, nel 1972, mentre stava minando un traliccio elettrico, a Segrate. Ci furono più inciampi, snodi, svolte e colpi di scena nel romanzo editoriale del Dottor Živago che nel melò d’amore, poesia e morte di cui Jurij Andrèevič Živago era il protagonista. È storia recente, di cui ancora sta ricadendo il fallout come dopo un’esplosione atomica, eppure sembrano passati millenni da quando in URSS era vietato l’uso delle fotocopiatrici, un grande editore doveva mettersi sull’attenti quando parlava Rossana Rossanda, i tre quarti della sinistra italiana erano all’obbedienza di Mosca e passava per eretico chi tra Stalin e le sue vittime preferiva gli assassinati all’assassino. Era il Mondo Bipolare, una sorta d’Antico Egitto, con i suoi Misteri oggi imperscrutabili (ma è noto che, secondo Hegel, «i misteri degli egizi erano misteri anche per gli egizi»).

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Diego Gabutti

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