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La Stampa Rassegna Stampa
18.05.2020 Titolazioni in stile Repubblica trasferite sulla Stampa diretta da Giannini
Mentre è corretta l'analisi di Anna Zafesova

Testata: La Stampa
Data: 18 maggio 2020
Pagina: 1
Autore: Anna Zafesova
Titolo: «Da Trump a Bolsonaro, autocrati sull'orlo di una crisi di nervi»

Riprendiamo dalla STAMPA del 17/05/2020, a pag. 1, con il titolo "Da Trump a Bolsonaro, autocrati sull'orlo di una crisi di nervi", l'analisi di Anna Zafesova.

La Stampa presenta la buona analisi di Anna Zafesova,che ignora completamente Trump, con un titolo e un'immagine pessima, che riproduciamo di seguito, che mettono Trump insieme alle dittature cinese, russa e bielorussa. . La Stampa ha scelto di cambiare rotta dopo gli anni dell'ottima direzione Molinari?
Pessime anche le titolazioni, nell'edizione di oggi, per esempio, a pag. 13: "Obama attacca Trump, non sa quello che fa", cioè gli dà del matto,
 annuncia una linea ostile al leader repubblicano in vista delle elezioni americane del prossimo novembre. Non è di meno il titolo sul pezzo di Stabile sul nuovo governo israeliano: " Netanyhau, il premier immortale 'Ora annessioni in Cisgiordania' ", in perfetto stile Manifesto, altroché Repubblica. Aspettiamoci l'allineamentoprossimo dei giornalisti alla direzione Giannini, le titolazioni sono un avvertimento, la nuova linea è questa. Zafesova, Mastroililli, Semprini siete pronti?

Ecco l'articolo:

Immagine correlata
Anna Zafesova
Le prime pagine dei quotidiani di Domenica 17 Maggio 2020 - DIRE.it
La prima pagina della Stampa di ieri

«Noi siamo i medici del pronto soccorso di Armavir. Non abbiamo ricevuto i pagamenti promessi. Nessuno. Né un rublo. Né un copeco». Vestiti in tute blu, facce coperte dalle mascherine, dottori e infermiere si sono disposti a scacchiera sul piazzale delle ambulanze, in rigido distanziamento, per scandire in coro il loro messaggio al presidente. Il loro tono non è disperato, e nemmeno troppo arrabbiato, quasi canzonatorio. Non supplicano, non si lamentano: denunciano ed esigono. E ottengono: il primario dell'ospedale cittadino viene licenziato e una commissione speciale arriva a indagare. Ma è come tappare la diga con un dito: i social esplodono di decine di video di tute blu, da ogni angolo del Paese, e la furia di Vladimir Putin - che in videoconferenza si scaglia contro i burocrati colpevoli di non far arrivare ai medici i «supplementi Covid» che aveva promesso - non sembra rincuorare nessuno. Secondo i sondaggi del Levada-zentr, il 48% dei russi considera «insufficienti» le misure governative, e il direttore dell'istituto demoscopico Lev Gudkov pronostica «esplosioni di scontento e nuove proteste» per il mancato sostegno a famiglie e imprese. La Russia questa settimana ha toccato il secondo posto nella triste classifica mondiale dei contagi, ma proprio il giorno in cui il numero dei nuovi ammalati – che ormai supera stabilmente i 10 mila casi giornalieri – ha battuto un nuovo record, il presidente russo ha annunciato la fine delle «settimane non lavorative», l'eufemismo per il lockdown. Proseguirà a discrezione delle regioni, ma Mosca se ne lava le mani: «Per convincere Putin gli hanno semplicemente mostrato i numeri», dice una fonte governativa alla testata online Meduza, «due mesi di lockdown sarebbero costati come un'intera finanziaria». I fasti di due mesi fa, quando la Russia inviava aiuti sanitari a mezzo mondo per mostrare di essere più efficiente e preparata dell'occidente, sono lontani. I ventilatori polmonari russi si sono scoperti più pericolosi del virus e hanno già provocato due incendi con 6 pazienti morti a Mosca e Pietroburgo. La carenza di dispositivi di protezione ha prodotto una strage tra i medici. Il premier, diversi ministri e deputati e perfino il portavoce di Putin sono ricoverati per coronavirus, ma la Russia ha deciso di avviare la fase 2 ancora prima del picco dell'epidemia, ormai posticipato da molti esperti a giugno. Chi in Occidente temeva che il decisionismo degli autocrati li avrebbe messo in vantaggio rispetto alle esitanti democrazie può ricredersi: le star internazionali del populismo autoritario non stanno vivendo un bel momento. Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, a forza di paragonare il Covid-19 a una «semplice influenza», ha portato il suo Paese nella top 5 della pandemia, con uno dei tassi di contagio più elevati al mondo. In due settimane ha perso due ministri della Sanità, licenziati per aver tentato di bloccare il presidente, ansioso di riaprire palestre e campionato di calcio. Molti governatori hanno sfidato apertamente le linee guida (o la loro assenza) di Bolsonaro, e l'ex presidente Lula l'ha accusato di voler perpetrare «un genocidio». Il presidente ha raggiunto un primato da Guinness: è il primo capo di Stato il cui post negazionista sul virus è stato cancellato da Instagram come fake. Anche il sistema di potere dell'«ultimo dittatore d'Europa» Alexandr Lukashenko è in rivolta aperta: mentre il «padre» dei bielorussi sostiene che il Covid-19 si cura con una gita sul trattore e un bicchiere di vodka, i suoi ministri impongono il distanziamento. La Bielorussia ha mantenuto parate militari e partite di calcio, e vanta oggi uno dei tassi di contagio più elevati d'Europa, al livello di Italia e Regno Unito, e otto volte più alto delle vicine Polonia e Ucraina. Quest'ultima ha lanciato uno dei lockdown più rigidi d'Europa – chiudendo perfino la metropolitana di Kiev – ancora prima di avere una sola vittima, e ora è entrata nella fase 2 con appena 500 morti. Il presidente Vladimir Zelensky era stato tristemente lucido: il disastrato sistema sanitario ucraino non avrebbe retto all'epidemia, l'unica speranza era evitare i contagi. Il Cremlino per bocca del portavoce di Putin (quello ricoverato ora per coronavirus, dopo essersi mostrato più volte sprovvisto di mascherina) disse che la Russia non avrebbe seguito l'esempio ucraino, «assolutamente sbagliato», come tutto quello che fa Kiev, almeno secondo Mosca. Forse il segreto dell'inefficienza dei populisti e degli autocrati si nasconde proprio nel rapporto con la realtà. I sistemi più colpiti sono stati quelli che avevano più «immagine» e «orgoglio» da difendere. Non solo quelle delle autocrazie ideologiche, dalle polemiche di Trump alla «migliore sanità d'Italia»: i più vulnerabili sono stati quelli che, di fronte a un problema, esitavano ad ammetterne l'esistenza, e gli eventuali errori nell'averlo gestito. La Cina, esordendo come classico autoritarismo che tacita le notizie negative, ha avuto la prontezza di cambiare rotta, pagando comunque le conseguenze della censura. Tutti i governi costruiscono delle narrazioni, ma soltanto i regimi autoritari e populisti trasformano la produzione di narrazioni nella loro attività principale. Al punto da non riuscire più a distinguere la realtà dalla propaganda. La vicepremier russa Tatiana Golikova si vanta di una mortalità 7,5 volte inferiore alla media mondiale, «gli altri Paesi hanno attacchi di gelosia a guardarci», e il ministero degli Esteri esige smentite ufficiali dal «New York Times» e dal «Financial Times» che, sulla base dei dati dell'anagrafe cittadina di Mosca, parlano di un'impennata dei decessi del 20%. Nessuno conosce il numero reale delle vittime: la disinformazione scende lungo tutta la catena burocratica di ministri e governatori, delle Asl e dei primari, in una tacita intesa di trasformare i morti «di coronavirus» in morti «con coronavirus». Alcuni addetti delle sanità regionali hanno svelato a Meduza che le statistiche sanitarie russe sono inattendibili già da anni, da quando Putin aveva ordinato di ridurre la mortalità di malattie cardiovascolari a livelli «occidentali», provocando – invece di un miglioramento delle cure e della prevenzione – un miglioramento dei numeri sulla carta. In una vecchia barzelletta sovietica, gli operai rubavano dalla fabbrica componenti per assemblare carrozzine da vendere al mercato nero, ma gli veniva fuori, sempre e comunque, un kalashnikov. Le autocrazie assemblano sempre dei villaggi Potiomkin. Che sono notoriamente finti, come i ventilatori autocombustibili inviati dalla Russia in Italia e negli Usa. Alexandr Baunov, della fondazione Carnegie Russia, ha scritto che il coronavirus ha messo in discussione i criteri abituali di divisione del mondo in Nord-Sud, Est-Ovest o democratici-autoritari. Per esempio, la dittatoriale Bielorussia e la libertaria Svezia hanno affrontato il virus in maniera simile, ma una per il capriccio dell'autocrate, l'altra per la fiducia nella responsabilità dei cittadini. La risposta alla pandemia dipende spesso da caratteristiche finora ignorate dagli analisti: per esempio, il livello di istruzione medio, la coesione sociale, le relazioni familiari oppure il grado di militarizzazione della vita pubblica, che accomuna sistemi diversi come il Vietnam post-comunista, la Corea del Sud post-autoritaria o la democrazia marziale di Israele (ma non la militarizzazione fondamentalista iraniana). Un altro criterio potrebbe essere quello delle risorse che un regime investe nella realtà piuttosto che nella sua manipolazione: nel momento in cui i medici di provincia danno del bugiardo al presidente, il villaggio Potiomkin si sgretola.

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