A una amica a cui era morto il figlio chiesi come facesse a resistere di fronte a un dolore per me impossibile anche solo da pensare. Mi rispose senza compiacimenti, con un chiarimento penso buddista: “Nulla ci dà la vita che sia troppo pesante per le nostre spalle”. Dopo dieci anni ancora resto turbato da quella consolazione chiedendomi con somma ingenuità ma invincibile ansia se essa sia verità in qualche modo certificabile. Torno a chiedermi: come è possibile sopravvivere all’insopportabile? La domanda ricorre negli esseri viventi ma la risposta rischia di soffocare prima ancora di venire pronunciata. Il quesito preme soprattutto quando qualcosa che riteniamo mostruoso avanza e sopravanza, fino al rischio di annegarci. Come successe a chi valicò la Shoah, dramma che nessuna narrazione aiuta a figurare per quel dato di incredulità umana che coglie di fronte alle dimensioni e all’ingegneria maledetta che produsse quel rogo eterno. David Meghnagi, psicoanalista che conosce il peso e il volume delle parole, che sa che le parole sono dannatrici e fors’anche guaritrici ma comunque ineludibili, che con le parole lavora, affronta ora – con una strumentazione propria e vigorosa –la questione della sopravvivenza delle vittime costrette a elaborare come sanno o come possono quel che appunto gli psicoanalisti chiamano “lutto”, intendendo qualcosa di peggio della fine dei giorni: la continuazione drammatica degli stessi nel dopo tragedia. Meghnagi affronta, percorre e ripercorre i meccanismi di quattro anime sopravissute: Marek Edelman, che fu medico e leader del Bund e vicecomandante della rivolta del ghetto di Varsavia; Primo Levi, scrittore suicida e scarno testimone dell’indicibile; Isaac Deutscher, trockista ribelle e grand’eretico; Gerschom Scholem, biblista e cabalista sempre su quel crinale che delimita debolmente i territori della fedeltà e quelli della trasgressione. Quattro uomini che tentarono –ognuno a modo proprio e non sempre con successo – di vivere dopo, appunto.
Con il passare del tempo tutto, pare, diventa più arduo. Invece di sanare l’infranto, quella rottura si approfondisce e sopravanza di continuo la possibilità di essere – noi – dei sopravissuti accettabili a noi stessi. E’ che poi tutto ciò si è fatto storia e idee, politica e dibattito. Dice Meghnagi che “ si è venuta a creare una situazione nuova e complessa dalle molteplici sfaccettature, dove alla luce si mescola l’ombra”. Ombra complicata da ricatti ideologici sfrontati dove gli ebrei devono essere insieme tutori della memoria ma subito rimproverati per esserne gli officianti. Vincolati al ricordo e accusati di viverne di rendita. Vecchie storie. Tutte da ridire e da riudire. Soprattutto quando il narrante sa farlo in modo così persuasivo e doloroso.