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Il Messaggero Rassegna Stampa
10.05.2020 Henry Kissinger, un ritratto
Analisi di Marina Valensise

Testata: Il Messaggero
Data: 10 maggio 2020
Pagina: 22
Autore: Marina Valensise
Titolo: «Kissinger, la realpolitik nata ai tempi dell'orrore»

Riprendiamo dal MESSAGGERO di oggi, 10/05/2020, a pag. 22, con il titolo "Kissinger, la realpolitik nata ai tempi dell'orrore", l'analisi di Marina Valensise.

La versione di Henry Kissinger - Limes
Henry
Kissinger

Heinz Kissinger aveva nove anni nel 1933, quando Hitler venne nominato Cancelliere. Era il figlio di un ebreo tedesco assimilato, un uomo pio, insegnante a Fürth, cittadina manifatturiera di 70 mila abitanti in Baviera, che l'aveva cresciuto nel culto di Goethe, Lessing e Felix Mendellsohn, votandolo all'ideale della Bildung (la tradizione tedesca di auto-formazione). Da un giorno all'altro, si trovò braccato da bande di ragazzetti in camicia bruna, costretto a cambiare strada, a disertare la piscina, a fingersi cattolico per giocare a pallone. Nel 1938, alla vigila della Kristallnacht, la madre Paula Stern, figlia di un mercante di bestiame e perciò dotata di senso pratico, riuscì a ottenere un visto per l'America. Cosi la famigliola riparò a Washington Heights, Upper Manhattan, fra la comunità di ebrei tedeschi detta per scherzo "The Fourth Reich", dove il vecchio padre, ormai vinto dalla vita, cercò di riciclarsi come contabile.

LA CARRIERA Divenuto adulto, laureato a Harvard con tesi su Metternich e Castlereagh, scrittore di successo con un saggio del 1957 sulle armi nucleari, professore a Harvard, consulente del governo, diplomatico di prestigio, consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario di Stato dal 1969 al 1977, durante le presidenze di Richard Nixon e di Gerald Ford, e Premio Nobel per la Pace nel 1973. Henry Kissinger, che era diventato americano dopo essersi arruolato nell'esercito ed essere tornato in Germania per insegnare a dare la caccia ai nazisti, avrebbe minimizzato il peso della persecuzione subita nell'infanzia. Eppure, solo un biografo dal cuore duro potrebbe negare l'impatto che la parabola del padre ebbe sulla visione del figlio e resistere alla tentazione di considerare l'attenzione al realismo e l'assenza di illusioni una sorta di compensazione all'impotenza del padre.

LE CRISI È l'assunto sul quale si fonda Barry Gewen, redattore di lungo corso alla New York Times Book Review. Il suo libro oscilla tra il ritratto intellettuale e il compendio politico. Dalla storia del Cile moderno, dove il colpo di Stato del 1973 contro il presidente Salvator Allende, primo comunista regolarmente eletto, un putsch gradito a Washington ma indipendente dall'amministrazione americana, è riportato alla sola matrice militare, sebbene Kissinger ammonisse "Non vedo perché dovremmo stare a guardare un Paese che diventa comunista per l'irresponsabilità del suo stesso popolo?", si passa alla crisi della democrazia nella repubblica di Weimar. Dalla seconda guerra mondiale alla Guerra fredda, dalla guerra nel Vietnam all'invasione della Cambogia e all'umiliazione da parte di Ronald Reagan che considerava superata la realpolitik, e non volle Kissinger alla Segreteria di Stato. Seguendo un periplo movimentato, Gewen finisce per assolvere da ogni accusa di cinismo, opportunismo, machiavellismo e diabolica spregiudicatezza il maestro della realpolitik, che persegui l'interesse nazionale e l'equilibrio di poteri per garantire la stabilità dell'ordine mondiale.

LE CAMERE A GAS Lo choc subito da bambino, l'aver visto tramontare da un giorno all'altro gli ideali del padre, l'aver visto inghiottire zii e cugini nelle camere a gas, l'aver assistito inerme alla distruzione della democrazia, in nome della democrazia e attraverso le procedure della democrazia, costituiscono il nucleo tragico del pensiero politico di Kissinger che affonda le radici nel pessimismo europeo del Novecento, e nella diffidenza verso la democrazia moderna condivisa da altri emigrati eccellenti, come Leo Strauss, Hannah Arendt e Hans Morgenthau, accomunati nella riflessione sulla morte della civiltà e dall'avvento inaspettato della barbarie, prodotto e nemesi dell'idea di progresso. Alla fine di tante digressioni, resta da capire se, e lino a che punto, il realismo politico, e per esempio la teoria dell'effetto domino in Asia, sia stato obiettivamente efficace nell'azione diplomatica di un pensatore di spicco.

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