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La Stampa Rassegna Stampa
09.05.2020 Libia e Siria: che cosa hanno in comune due guerre civili che durano da quasi dieci anni
Analisi di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 09 maggio 2020
Pagina: 15
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Siriani contro siriani. La nuova guerra civile si combatte in Libia»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/05/2020, a pag.15, con il titolo "Siriani contro siriani. La nuova guerra civile si combatte in Libia", la cronaca di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

Libya's battle of the militias: How did it all start?

È una seconda guerra civile tra siriani, questa volta però combattuta in Libia, e soltanto per denaro. È l'ultimo atto di due conflitti intrecciati, cominciati dieci anni fa con la rivolta contro Muammar Gheddafi e Bashar al-Assad, la lotta per la libertà e la democrazia. Molto è cambiato. Gheddafi non c'è più, linciato dai ribelli e poi finito con un colpo di pistola alla testa. Assad è sopravvissuto e adesso, pressato dai russi, sta per dire la sua anche sul fronte libico con l'invio di mercenari siriani al fianco del maresciallo Khalifa Haftar, l'erede di Gheddafi, l'uomo forte che vuole conquistare Tripoli e cacciare il governo del premier Fayez al-Sarraj. Le voci sul reclutamento di uomini da mandare in Libia si rincorrevano da settimane. Ieri è arrivata la conferma dall'inviato speciale americano per la Siria, James Jeffrey. «Sappiamo per certo – ha accusato – che i russi stanno lavorando con Assad per trasportare combattenti in Libia». Jeffrey ha poi citato un rapporto delle Nazioni Unite che calcola in 1200 i mercenari russi della Wagner già presenti sul fronte della Tripolitania.
La «rivoluzione libica», come già quella siriana, si è trasformata in una sporca guerra per procura. Da una parte c'è la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, accerrimo nemico di Assad e deciso a salvare a tutti i costi il governo Tripoli. Dall'altra ci sono Egitto, Arabia Saudita ed Emirati, che considerano il premier Al-Sarraj un pupazzo nelle mani dei Fratelli musulmani e vogliono imporre una «restaurazione» come quella condotta da Abdel Fatah al-Sisi in Egitto. Erdogan è stato il primo a giocare la carta dei mercenari siriani. A gennaio, dopo aver stretto un patto di ferro con Al-Sarraj, ha cominciato a trasferire i combattenti della divisione Sultan Murad, una formazione composta da turkmeni e arabi jihadisti. In Siria venivano pagati 50 dollari al mese, in Libia ne prendono mille. I mercenari, almeno duemila, hanno cambiato gli equilibri al fronte e Haftar ha chiesto aiuto alla Russia. Il maresciallo ha frequentato per tre anni l'Accademia di Mosca, conosce il russo ed è in rapporti stretti, anche se a volte burrascosi, con Vladimir Putin.
Lo Zar ha inviato in Siria il colonnello Alexander Zorin, conosciuto come il «padrino», uno degli artefici delle «riconciliazioni», la resa dei ribelli in cambio dell'amnistia. Fra il 2017 e il 2018 una parte è stata trasferita a Idlib, altri sono rimasti a Daraa, nella Ghouta, a Quneitra, ma sono senza lavoro e prospettive. Il colonnello Zorin ha ricontattato alcuni ex capi e promesso stipendi da mille dollari al mese, cinquemila per i comandanti, per combattere in Libia. In centinaia hanno accettato e vengono addestrati in un campo vicino a Homs. Non tutto è andato liscio, perché, come hanno raccontato alcuni mercenari a Foreign Policy, i soldi non si sono visti subito, e il morale è basso. Molti ex ribelli si trovano a disagio a dover combattere a fianco dei russi, principali alleati di un regime che continuano a odiare. Per convincerli sarebbe intervenuto anche il principe ereditario degli Emirati, Mohammed bin Zayef, che lo scorso 27 marzo ha chiamato Assad e ha offerto aiuto nella «lotta al coronavirus». In realtà i due anno discusso di Siria e di Libia e di come contrastare il comune nemico Erdogan.
Fonti libiche hanno poi confermato i primi arrivi sul fronte libico, a rimpolpare le fila delle forze di Haftar, indebolite dalla controffensiva dei governativi, con la conquista di Sabrata, e decimate dai raid dei droni turchi. I mercenari siriani però faticano ad adattarsi alla «guerra urbana» alla periferia di Tripoli. 
Il maresciallo è dovuto ricorrere a raid sempre più indiscriminati, come quello che nella notte fra giovedì e ieri ha colpito il quartiere delle ambasciate italiana e turca, con decine di morti e feriti. Ormai ex jihadisti riciclati a suon di biglietti verdi si trovano di fronte mercenari di ogni tipo, dal Sudan, dal Ciad e adesso anche dalla Siria. Più che altro carne da cannone, perché a fornire qualità e a tirare le fila della battaglia sono i consiglieri militari turchi, per Al-Sarraj, e i «mercenari di lusso» della compagnia russa Wagner per Haftar, ex uomini delle forze speciali Spetsnaz a 20 mila dollari al mese. Sempre ieri è «trapelato» un rapporto dell'Onu che stima in 1200 i russi sul fronte libico, traferiti «con decine di voli dalla Russia fra il 2018 e il 2019». Di 122 si sanno anche i nomi, 39 sono «cecchini specializzati». Haftar conta soprattutto su di loro per riprendere l'iniziativa e lanciare un nuovo assalto alla capitale.

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