Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 08/05/2020, a pag.14, con il titolo "Da Berlino a Roma, la tela di Pechino con la diplomazia delle mascherine" il commento di Tonia Mastrobuoni; con il titolo "Trump evoca Pearl Harbor e sfida il Dragone", il commento di Federico Rampini.
Emergono con sempre maggiore chiarezza le responsabilità cinesi nella diffusione del virus su scala globale e nello stesso tempo emergono le ambiguità della Farnesina guidata da Luigi Di Maio, che si è fatto strumento della propaganda di Pechino. Bene fa dunque Donald Trump a utilizzare parole chiare.
Ecco gli articoli:
Donald Trump con Xi Jinping
Tonia Mastrobuoni: "Da Berlino a Roma, la tela di Pechino con la diplomazia delle mascherine"
Tonia Mastrobuoni
Il presidente serbo, Aleksandar Vucic, che bacia la bandiera cinese all’arrivo degli aiuti da Pechino. Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, che organizza una diretta Facebook quando l’aereo cinese atterra a Roma. ll premier ungherese Viktor Orbán che elogia ossessivamente la solidarietà di Pechino minimizzando sugli ingenti aiuti europei. È questo il fronte più delicato della "diplomazia delle mascherine": quello politico. In Europa, le reazioni all’ostentata solidarietà arrivata da Pechino sono state molto diverse. Non tutti hanno reagito come Vucic, Di Maio e Orbán: Angela Merkel ha fatto notare freddamente che gli aiuti arrivati dalla Cina erano «un segno di reciprocità» per gli aiuti generosi che l’Ue aveva mandato a Wuhan nei giorni più neri dell’epidemia. La Cina, peraltro, aveva chiesto di farlo senza troppo clamore. Al Merics, il think tank indipendente di studi sulla Cina fondato sette anni fa a Berlino, ormai riconosciuto in tutto il mondo come una fonte autorevole di approfondimenti e analisi, hanno osservato attentamente la "diplomazia delle mascherine". Per Lucrezia Poggetti, studi in Cina e un master alla Soas di Londra, la strategia comunicativa che Pechino ha avviato in questi mesi di pandemia può essere sintetizzata così: «Una campagna di propaganda esterna e di soft power che il governo ha organizzato con lo scopo principale di distogliere il pubblico straniero e quello interno dalle sue responsabilità nei ritardi con cui ha comunicato all’Oms l’evolversi dell’epidemia». I livelli di propaganda sono diversi. Il primo è quello dell’informazione diretta. O meglio: della disinformazione. «I cinesi - ragiona Poggetti - stanno imparando dalla Russia». In passato, valeva solo la comunicazione ufficiale del Partito comunista. «Durante la crisi, invece, si è messa in moto una campagna di propaganda basata in parte su teorie del complotto, anche contraddittorie ». Si pensi alla bufala che siano stati i militari americani a portare il virus a Wuhan, durante i World military games di novembre del 2019. Subito dopo, però, il Global Times , il giornale nazionalista del Partito comunista, ha pubblicato un post citando fuori contesto uno scienziato italiano, per dimostrare che il Covid 19 è nato in Italia. «Non importa se le teorie si contraddicono: l’obiettivo è creare confusione e rendere più difficile capire quale sia la verità», spiega Poggetti. Gli attori di queste campagne di propaganda e disinformazione sono il Dipartimento di informazione del ministero degli Esteri e i suoi aggressivi portavoce, Hua Chunying e Zhao Lijian. Che, precisa Poggetti «in certi casi diventano dei veri e propri troll. E non si fanno neanche scrupoli a diffondere fake news». Il primo, Hua, ha condiviso su twitter un video falso che mostrava dei presunti italiani che cantavano l’inno nazionale cinese e gridavano "grazie Cina" (immediatamente smascherato dal sito di fact-checking "Pagella politica"). Zhao ha diffuso invece la fake news dell’Italia epicentro dell’epidemia. Ormai anche le ambasciate sono diventate un veicolo fondamentale per questo tipo di campagne. Durante l’epidemia, ricorda Poggetti, «c’è stata, in Francia, un’iniziativa di parlamentari francesi e la convocazione dell’ambasciatore cinese, dopo che aveva diffuso un articolo in cui si sosteneva che Macron avesse abbandonato gli anziani a morire, senza curarli». E in Germania, quando la Bild ha pubblicato un articolo chiedendo alla Cina di pagare per i danni causati dal coronavirus, l’ambasciatore cinese lo ha definito "infame" e "nazionalista". In Italia, secondo uno studio pubblicato sempre da Merics e firmato da Francesca Ghiretti e Lorenzo Marian, il twitter dell’ambasciatore cinese è passato da 2,35 post al giorno nel periodo pre-coronavirus a 3,74 durante l’epidemia. «La maggior parte, focalizzata sulla promozione della solidarietà tra i due Paesi ». Anche su Facebook i due ricercatori hanno osservato un aumento delle attività. E un account Instagram è stato aperto proprio durante la crisi. Inoltre, l’analisi dei dati dimostra che «c’è stato un uso cospicuo di bot per aumentare la popolarità degli account ufficiali». E in Italia si è visto quanto sia dannoso il risvolto politico della "diplomazia delle mascherine". Di Maio, ragiona Poggetti, «si è reso strumentale alla propaganda, anche in Cina. Dopo il video degli aiuti, è andato al tg a dire che chi aveva deriso la Via della Seta ora doveva riconoscere che può salvare vite umane. Quel video è stato postato in Cina con l’hashtag ‘il ministro degli Esteri italiani dice che la Via della Seta può salvare vite’. Ed è diventato virale».
Federico Rampini: "Trump evoca Pearl Harbor e sfida il Dragone"
Federico Rampini
Dicendo che il coronavirus è la nuova Pearl Harbor, Trump ha maneggiato una metafora molto densa. Per almeno tre ragioni. Anzitutto, Pearl Harbor nella memoria storica degli americani è "l’Asia infida che ci attacca alle spalle". Nel dicembre 1941 fu il bombardamento del Giappone su una base militare e navale nelle Hawaii, senza dichiarazione di guerra preventiva. Oggi l’equivalente attacco non dichiarato sarebbe il coronavirus di Wuhan, su cui la Cina nascose a lungo delle notizie che potevano prevenire il contagio in altri paesi. Un secondo significato di Pearl Harbor è l’inizio della grande guerra del Pacifico. Che per gli Stati Uniti fu a lungo più importante del fronte europeo contro la Germania nazista. Già allora per Franklin Roosevelt il Pacifico cominciò ad essere il nuovo centro del mondo, dove si giocava la sfida per la supremazia globale. Terza ragione per cui il paragone con Pearl Harbor è "denso": allude al possibile inizio di una guerra vera, non più solo guerra fredda, come scenario possibile. In una fase in cui nei mari d’Oriente si moltiplicano le tensioni tra la US Navy e la marina cinese, soprattutto in "zone grigie", frontiere marittime contestate, isole contese, dove Pechino vuole allargare la sua sovranità e la sua sfera militare a scapito di alleati dell’America come il Giappone e le Filippine. Tra le cause scatenanti di una crisi va aggiunta sempre Taiwan, isola "ribelle" che la Cina considera sua ma che gli Stati Uniti s’impegnano a difendere da un’invasione. È in atto un pressing diplomatico di Trump perché Taiwan partecipi a una conferenza dell’Oms a maggio. La conferenza essendo dedicata al coronavirus, sembra logico che partecipi una nazione-modello che ha gestito la pandemia con risultati esemplari. Però per la Cina escludere Taiwan dalle organizzazioni internazionali è un principio inderogabile. Dai tempi del disgelo Nixon-Mao nel 1972, la diplomazia americana si è rassegnata a non urtare la suscettibilità di Pechino sul tabù di Taiwan. Trump ha deciso di urtarla. Per finire, entro due settimane la Casa Bianca vuole verificare che Xi Jinping rispetti la promessa di un consistente aumento di acquisti di derrate agricole americane. Fu su quella base che la guerra dei dazi conobbe un armistizio a gennaio. Quella tregua potrebbe avere i giorni contati.
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