Vasilij Grossman e il Maresciallo di bronzo
Commento di Diego Gabutti
«Sulla montagna dietro Erevan c’è un monumento a Stalin», scrive Vasilij Grossman in Il bene sia con voi! (Adelphi, 2014). «Ovunque tu sia, se alzi lo sguardo non puoi non vedere quel gigantesco maresciallo di bronzo. Se un cosmonauta arrivato da un pianeta lontano scorgesse il gigante di bronzo che si staglia sulla capitale dell’Armenia capirebbe subito che cos’è – il monumento a un sovrano potente e terribile. Stalin indossa un lungo cappotto militare con visiera, di bronzo, e la mano di bronzo infilata dentro il cappotto. Accenna un passo, e quel passo è lento, pesante, regolare –è il passo del padrone, del signore del mondo, lui non ha fretta. C’è in lui una miscela strana e struggente – è l’espressione d’una potenza che solo un dio possiede, tanto è grande; ed è anche l’espressione d’un potere terreno rozzo, il potere del soldato e del burocrate. Quel dio maestoso col suo cappotto militare è naturalmente anche un’opera splendida di Merkurov. Le nuvole sembrano quasi sfiorargli la testa. Stalin è alto diciassette metri. Statua e piedistallo insieme arrivano a settantotto. Lui si erge su Erevan, sull’Armenia, si erge sulla Russia, sull’Ucraina, sul Mar Nero e sul Caspio, sull’Artico, sulla tajga della Siberia orientale, sulle sabbie del Kazachstan. Stalin è lo Stato». Ebreo, giornalista e letterato all’epoca staliniano ortodosso, Grossman nel 1945 fu autore con Il’ja Ėrenburg del Libro nero (Mondadori 1999) che, su incarico del Comitato Antifascista Ebraico, raccoglieva le testimonianze degli ebrei sovietici scampati allo sterminio da parte degli hitleriani. Questa terrificante, documentata denuncia, che usciva con una prefazione di Albert Einstein, non piacque al «gigantesco maresciallo di bronzo» che si ergeva sulla montagna dietro la capitale dell’Armenia. Egli stesso antisemita, Stalin ne impedì la pubblicazione, dopo di ché provvide a censurare anche uno degli autori del libro (non Ėrenburg, che fu sempre il suo cocco, o per meglio dire il suo principale agente d’influenza tra i compagni di strada e gli utili idioti occidentali, ma Grossman). Giornalista di regime, il più popolare gazzettiere sovietico, Grossman sparì dalla scena pubblica e anticipò, negli anni intorno al XX congresso del PCUS, non l’effimera primavera del «disgelo» ma il futuro dissenso sovietico. Insieme al classico Vita e destino, insieme a Tutto scorre e all’Inferno di Treblinka, anche Il bene sia con voi! è un importante libro sulla natura del male nella storia.
Una manciata di racconti, qualche corrispondenza giornalistica, alcune belle e commoventi testimonianze personali e un lungo reportage dall’Armenia, forse sulle orme d’un viaggio analogo compiuto del poeta Osip Mandel'štam negli anni trenta (Viaggio in Armenia, Adelphi 1988): su queste note sparse di vita sovietica incombe la figura burocratica e soldatesco del dio maestoso nel suo cappotto militare. Un sovrano potente e terribile che si erge su tutte le Russie. Non un tiranno, come ce ne sono tanti, e non meno terribili, specie nell’Europa di quegli anni, ma la sua quintessenza: lo Stato stesso. Stalin viene osservato, in uno dei racconti, da una bambina, nata da bolscevichi eretici. A ricambiare lo sguardo della bambina non è il Male o il Delirio ma il Nulla: «Un giorno arrivò un ospite nuovo. Nadja se ne rese conto subito, ma non per l’agitazione che regnava in casa o perché la bambinaia s’era fatto il segno della croce quando il papà era andato personalmente ad aprire la porta. E neppure perché aveva il viso butterato e intelligente, baffi scuri un po’ brizzolati e movimenti fluidi, felpati. I suoi occhi la guardavano senza alcuna curiosità, flemmatici, assolutamente tranquilli, senza traccia di follia, angoscia o tensione: vi si leggeva una calma placida». Sulle Repubbliche socialiste sovietiche incombe il mistero del Maresciallo di Bronzo: «(Sakris’jan) raccontò di quando, tornato dal lager, aveva venduto acqua gassata lungo Via Abovjan; e del giorno in cui aveva chiacchierato a lungo con un vecchio kolchoziano arrivato dalle campagne che sorseggiava la sua acqua frizzantina. Sakris’jan gli disse d’aver lavorato in clandestinità per la rivoluzione, d’aver cacciato lo zar nel 1917, d’aver contribuito a edificare il potere dei soviet e d’essere, poi, finito in un lager. “E adesso vendo acqua”. Il vecchio ci pensò su e poi disse: “Perché hai cacciato lo zar? Non ti lasciava vendere l’acqua?”».
Diego Gabutti