La crisi dell’Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo.
A cura di M. Cattaruzza, M. Flores, S. Levis Sullam, E. Traverso vol. 1 e 2
Casa editrice UTET
In una scena celebre, il protagonista di Se questo è un uomo, tormentato dalla sete, afferra un ghiacciolo che pende da una finestra. Ma subito una guardia glielo strappa brutalmente di mano. “Warum” – Gli ho chiesto nel mio povero tedesco. – Hier ist kein Warum, - (Qui non c’è perché), mi ha risposto”. E così, da questo primo “Perché?”, che risale a sessant’anni fa la riflessione sullo sterminio degli ebrei si muove tra i due estremi del dilemma posto da Primo Levi: la richiesta di una spiegazione invocata dalle vittime e il diniego di una risposta.
La Storia della Shoah, di cui sono usciti presso la Utet i primi due volumi, cerca di fare il punto sullo stato delle conoscenze e del dibattito critico intorno all’Olocausto. Scritto da decine di specialisti di diversi Paesi, questo repertorio multidisciplinare (che, nell’edizione completa, prevede cinque tomi e include anche cd-room con filmati d’epoca), è il risultato di un notevole sforzo editoriale. Anziché, com’è abitudine, riprendere un prodotto pensato per un pubblico di lingua inglese e adattarlo alle esigenze del lettore italiano, i quattro curatori – Marina Cattaruzza, Marcello Flores, Simon Levis Sullam, Enzo Traverso – propongono un laboratorio storiografico originale, in cui la Shoah viene letta secondo tre fondamentali prospettive.
Innanzitutto, il dramma dell’annientamento fisico di milioni di ebrei è interpretato come estremo sussulto di una lunga crisi europea, iniziata già nel XIX secolo. A questo “prima” storico, corrisponde, nel piano dell’opera, il “dopo”, ovvero il lento costruirsi della memoria e della rappresentazione collettiva, a partire dal 1945. Nel mezzo, vi è l’Olocausto come evento fattuale, calendario dettagliato di giorni che precipitarono nell’eccidio.
Lo sforzo quello di sottrarre la Shoah allo svuotamento retorico che la minaccia, soprattutto negli ultimi anni. Proprio perché la bibliografia sul fenomeno è ormai divenuta smisurata, è necessario fare il punto su quello che si sa, sui dati, sulle responsabilità acquisite e sul dibattito delle coscienze. Per sua natura, questa Storia a molte voci non pretende di fornire un quadro univoco dell’olocausto ma propone piuttosto un mosaico di opinioni e processi conoscitivi, talvolta in contraddizione apparente l’uno con l’altro. La mancanza di omogeneità ideologica è per altro una professione di libertà, che coinvolge il lettore in una ricerca di senso non ancora conclusa.
Nel primo volume vengono affrontate le origini e il contesto della crisi europea: è il lato oscuro dei nazionalismi che agitano il XIX secolo, accompagnati dall’emergere di quel razzismo “scientifico” che tanta parte avrà nell’ideologia nazista. In questa sezione trovano ampio spazio quelle che si potrebbero definire le prove generali dell’annientamento degli ebrei. L’inventario comprende i massacri d’oltremare compiuti dal colonialismo, e il sorgere del metodo dei campi di concentramento, sperimentati durante la guerra di Cuba, a partire dal 1898, e poi in quella condotta dagli inglesi contro i boeri. In questi episodi, consumati al di fuori dell’Europa, soffia il vento di un razionalismo tutto moderno, di uno sforzo teso a controllare e distruggere i nemici, comprese le popolazioni civili, con il massimo dell’efficienza logistica. E’ l’inizio di quell’industrializzazione dello scontro bellico che avrà nella prima guerra mondiale la sua consacrazione. Non a caso, gli anni del conflitto sono anche quelli del genocidio degli armeni, che per numero e brutalità testimonia una trasformazione fatale della violenza da parte di uno Stato organizzato.
Dalle analisi del percorso europeo negli anni Venti e primi anni Trenta esce il quadro di un continente scosso dall’affermarsi dei totalitarismi, e in particolare di una Germania alla frenetica ricerca di un riscatto nazionale, dopo le umiliazioni della sconfitta patita nel 1918. A fronte di questo specchio, prossimo ad andare in frantumi, emergono anche i contorni di un giudaismo in forte calo demografico. Soprattutto dopo gli inizi del Novecento, milioni di ebrei avevano infatti lasciato l’Europa orientale per gli Stati Uniti, e quanti rimanevano erano sbattuti tra crescente antisemitismo e un’assimilazione ormai in buona parte illusoria. Nondimeno, come osserva Enzo Traverso, tutte queste possono essere considerate cause dirette o indirette della Shoah,ma non in un senso “meccanico, fatale e ineluttabile”. La cosiddetta “soluzione finale” prese infatti forma nel contesto della Seconda guerra mondiale, né poteva essere prevista prima dello scoppio del conflitto. I redattori della Storia della Shoah insistono giustamente sul legame tra accelerazione bellica e sterminio, un nesso troppo spesso sottovalutato in anni recenti. Furono infatti le conquiste territoriali, seppur provvisorie, dei nazisti a dare all’annientamento degli ebrei dimensioni spaventose.
Nel secondo volume dell’opera vengono ripercorse le tappe della Shoah, sia nel minuzioso funzionamento dell’apparato burocratico della Germania sia nel ruolo dei vari persecutori non tedeschi, soprattutto in Europa centrale e orientale. E’ un’occasione per riflettere anche sulle pratiche di pulizia razziale che il nazismo mise in atto contro disabili, omosessuali e zingari e che miravano a costituire un nuovo ordine etnico europeo.
Tra i pregi del lavoro vi è senz’altro quello di non dimenticare la dimensione economica dell’Olocausto. Sebbene infatti l’eliminazione fisica degli ebrei fosse dettata da principi innanzitutto ideologici, i nazisti tennero fino all’ultimo un’accurata contabilità del massacro sfruttarono con tutti i mezzi le risorse che venivano dall’esproprio sistematico dei beni ebraici. Si trattò di una vera e propria spartizione delle spoglie, di cui beneficiarono non solo lo Stato nazista ma anche un milione di “comuni” cittadini tedeschi e di altri Paesi. Del resto, parte cospicua di questo patrimonio non fu restituita neppure dopo il conflitto e costituisce ancora una sorta di macabra dote delle moderne società europee.
Certo, neppure mettendo assieme tutti questi dati è possibile costruirsi un univoco “perché”. Ma restano pur sempre un “come”, e un “chi”, su cui l’Europa deve continuare a riflettere