Egitto: quando il carcere rivela l 'ingiustizia islamica Cronaca di Giordano Stabile
Testata: La Stampa Data: 04 maggio 2020 Pagina: 17 Autore: Giordano Stabile Titolo: «In carcere dal 2018. Muore il regista del video anti Al-Sisi»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/05/2020, a pag.17, con il titolo "In carcere dal 2018. Muore il regista del video anti Al-Sisi", la cronaca di Giordano Stabile.
Giordano Stabile
Shady Habash
In prigione è la solitudine a ucciderti. Sono le ultime parole di Shady Habash, 24 anni, affidate a una lettera agli amici. In cella da oltre due anni, Habash è morto venerdì scorso in un carcere di massima sicurezza vicino al Cairo. Le autorità si sono limitare a comunicare il decesso al suo avvocato, senza specificare le cause. Era stato arrestato nel marzo del 2018. La sua colpa, aver girato un video sarcastico su Abdel Fatah al-Sisi, su musica di un cantante divenuto celebre all'epoca della Primavera araba e adesso in esilio in Svezia, Ramy Essam. Nel video il presidente egiziano veniva chiamato «dattero» e veniva preso in giro anche per il suo aspetto fisico. Era stato un successo immediato, come migliaia di visualizzazioni sui social media. Se ne era accorto però anche l'apparato di sicurezza. Habash era stato fermato assieme all'autore del testo, Gala el-Behairy, poi condannato a tre anni da un tribunale militare. «Dimenticato in cella» Habash non era però mai arrivato a processo. Viveva in un limbo, come moltissimi altri prigionieri accusati di generici «attentati alla sicurezza dello Stato». Con i termini della carcerazioni prolungati in automatico, all'infinito, fino alla disperazione espressa in quella lettera agli amici, una lotta quotidiana «per impedire a te stesso di impazzire, o di lasciarti morire lentamente perché ti hanno sbattuto in una cella e ti hanno dimenticato lì». La stessa condizione di Patrick George Zaki, lo studente dell'università di Bologna arrestato lo scorso 7 febbraio, e aggravata dal timore che l'epidemia di coronavirus possa dilagare nelle prigioni sovraffollate, dove i detenuti non possono più contare neppure sul sostegno delle famiglie, perché le visite sono azzerate, e non ricevono i generi di conforto minimi per sopravvivere, «vitamine e sali contro la disidratazione», hanno denunciato i famigliari di un altro dissidente, Alaa Abd El Fattah, in sciopero della fame dal 12 aprile.
La rete della repressione E' il volto feroce della «stabilizzazione» dell'Egitto dopo il fallimento della Primavera araba e l'ascesa al potere del presidente dei Fratelli musulmani Mohammed Morsi, deposto dallo stesso Al-Sisi, allora capo delle Forze armate, nel luglio del 2013. Il generale ha spazzato via la Fratellanza, con 60 mila persone arrestare, e decine scomparse. Ma nella rete delle repressione sono finiti anche gli attivisti laici della rivoluzione di piazza Tahrir, intellettuali, giornalisti, avvocati, traduttori, quelli che non sono riusciti scappare all'estero, a cominciare dal più celebre scrittore egiziano, Alaa al-Aswani, adesso a New York. Lo scorso marzo, di fronte al rischio di un'ecatombe causa Covid-19, Amnesty International ha chiesto ad Al-Sisi un'amnistia. Il presidente ha poi rilasciato quattromila detenuti per la festa nazionale della Liberazione del Sinai. Ma fra loro non c'erano i prigionieri politici. Forse la morte di Habash spingerà a un nuovo atto di clemenza il raiss, sotto pressione anche da parte degli Stati Uniti, dopo la scomparsa in carcere di un cittadino americano, Moustafa Kassem, lo scorso gennaio, nonostante la richiesta di scarcerazione da parte del vicepresidente Mike Pence e le minacce di sospendere gli aiuti militari americani. L'Egitto ha cercato di ricucire con l'invio di materiale sanitario, quando l'epidemia di coronavirus ha investito l'America, un gesto di solidarietà prima compiuto nei confronti dell'Italia. Ma gli alleati si aspettano anche gesti di altro tipo, di apertura democratica.