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Inizia la saga pandemica
Diego Gabutti legge Lawrence Wright
Lawrence Wright, Pandemia, Piemme 2020, pp. 496, 18,90 euro, eBook 5,99 euro. È un coronavirus, come COVID-19. Non lo hanno incubato e diffuso i pipistrelli, come in Cina, ma «gli uccelli» («probabilmente» a partire da «un focolaio originario in Manciuria o in Siberia»). Non infetta i primi umani a Wuhan, nei pressi d’un laboratorio sospetto e già molto chiacchierato dalle riviste scientifiche, com’è capitato sempre col COVID-19, ma si manifesta per la prima volta a Giava, in Indonesia, all’interno d’un campo in cui le autorità islamiche rinchiudono gay e transgender, accusati di diffondere HIV e morbillo (oltre che d’essere degli abominii agli occhi di Allah). Sfiga aiutando, il contagio si diffonde alla Mecca nei giorni del ḥajj, il pellegrinaggio tradizionale alla Sacra Moschea, quinto pilastro dell’Islam, quando la città ospita tre milioni di pellegrini. Di lì il virus, battezzato «Kongoli» dal nome del lager indonesiano da cui ha preso le mosse, si diffonde in tutto il mondo, dove si chiudono le scuole, niente voli, niente spostamenti, guanti di gomma e mascherine, «distanziamento sociale». Non è COVID-19, però gli somiglia, fin quasi a coincidere. Brivido ulteriore: è la primavera del 2020, come adesso. Lawrence Wright è al suo primo romanzo, nonché alla sua prima profezia (il romanzo, uscito il 20 aprile negli Stati Uniti, e un mese dopo anche da noi, è stato scritto l’anno scorso, con largo anticipo sugli eventi). Grande (no, grandissimo) giornalista, Wright è l’autore di due mirabili storie sugli orrori politici e religiosi del nostro tempo: Le altissime torri, col quale ha vinto il Premio Pulitzer nel 2009, sugli attentati a Washington e New York del 2001, e La prigione della fede. Scientology a Hollywood, sull’horror culturale che s’incarna nelle moderne superstizioni (e nelle speculazioni finanziarie) new age. Trovate entrambi questi titoli nel catalogo Adelphi, mentre il suo ultimo libro da giornalista, Dio salvi il Texas, di cui abbiamo parlato mesi fa anche su Informazione corretta, è stato tradotto da NR Edizioni. Senza offesa, Pandemia non vale i reportage: è troppo effettistico, troppe le iperboli, fiacchi e deja visti e letti troppe volte i protagonisti, ingenua (e decisamente troppa, ferro toccando) l’evoluzione della storia in chiave spy story catastrofica. Morale, se ne serve una: Pandemia, che si segnala come profezia, un caso bizzarro e raro di coincidenza tra fiction e realtà, lascia a desiderare come romanzo (se la profezia è agghiacciante, e giustifica ampiamente la lettura del romanzo, il romanzo è fumettistico e, benché stia davvero succedendo qualcosa di simile, sembra finto, di cartapesta, irrealistico). Se mai decidesse di scrivere la storia del coronavirus com’è realmente avvenuta, comprese le oscurità, che non sono mancate e non mancano, Wright farebbe il suo lavoro, e lo farebbe benissimo. Pandemia, di questo eventuale lavoro futuro, è tutt’al più (o forse non è nemmeno) un assaggio. Proprio come «ci sono molte più cose in cielo e in terra» eccetera, c’è più materiale drammatico nei misteri del laboratorio di Wuhan come pure nei misteri dell’esplosione del morbo in Lombardia più (e prima, Cina a parte) che in ogni altra parte del mondo, nell’«immunità di gregge» di Boris Johnson, nelle disastrose battute iniziali su «influenza» e «raffreddore» pronunciate dai leader di mezzo pianeta, nel comportamento del governo cinese e dei suoi alleati e manutengoli, anche italiani; c’è più materiale drammatico nella crisi delle mascherine, nella lotta contro il tempo di medici e scienziati per sintetizzare un vaccino o per trovare una terapia efficace contro COVID-19, nell’economia che rallenta in tutto l’Occidente e via così, attraverso le emergenze piccole, grandi e kolossal degli ultimi due-tre mesi, che nella guerra tra Iran e Arabia Saudita dichiarata da Wright in Pandemia, seguita a ruota dalla guerra asimmetrica (almeno all’inizio, ma il romanzo è lungo) tra gli hacker di Putin e gli Stati Uniti, nelle pippe banaloidi sull’arsenale atomico della guerra fredda, nei vilain da quattro soldi che «sarebbero perfetti per interpretare il ruolo d’un nazista» in qualche film da quattro soldi. («Secondo me è morto anche Brad Pitt», dice un personaggio, e non c’è bisogno d’essere Brad Pitt per protestare che questi non sono oroscopi da fare). Da quando COVID-19, qualunque cosa si riprometta l’Onnipotente da questa particolare piaga, si è scatenato attraverso i continenti, c’è più materiale drammatico nella realtà che in qualsivoglia fiction, per quanto profetica (sempre corna facendo). Lawrence Wright, che non è alla sua prima catastrofe, lo sa meglio di chiunque altro: il racconto degli attentati islamisti del 2001 a New York e Washington o quello delle fortune di Scientology a Hollywood (una classica distopia fantascientifica, tra George Orwell e Isaac Asimov, che si è insinuata nella realtà, come in un racconto trompe l’oeil di Borges) stanno lì a dimostrarlo. Di gran lunga meglio il giornalista che il Robert Ludlum o il Nostradamus.
Diego Gabutti |
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