Russia tra crisi e caos: il virus avanza, per Putin consenso al minimo Analisi di Anna Zafesova
Testata: La Stampa Data: 30 aprile 2020 Pagina: 16 Autore: Anna Zafesova Titolo: «Petrolio, consensi e Covid. La tempesta perfetta che fa tremare lo zar Putin»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/04/2020, a pag. 16, con il titolo "Petrolio, consensi e Covid. La tempesta perfetta che fa tremare lo zar Putin", l'analisi di Anna Zafesova.
Elena Nepomnyaschaya è «caduta dalla finestra». Il canale TVK di Krasnoyarsk ha raccontato, il 25 aprile scorso, che l'incidente della primaria ad interim dell'ospedale per i veterani di guerra è avvenuto durante una riunione con i responsabili della sanità della regione siberiana. La dottoressa aveva protestato contro l'arrivo di nuovi malati di Covid-19 in assenza di dispositivi di protezione dei medici. Le autorità locali smentiscono il conflitto e parlano di «stress primaverile». I colleghi della primaria, che resta in rianimazione, dicono che si è «bruciata», un termine del gergo dei medici in prima linea, che in questi giorni di emergenza è uscito dai reparti di terapia intensiva per venire scoperto dal resto del Paese. Si «bruciano» i medici che non riescono più a reggere il ritmo del lavoro, lo stress, l'impotenza di fronte alla morte. È una sorta di collasso psicologico totale, di esaurimento finale. Chi sente l'approssimarsi della «bruciatura» fugge: i medici e gli infermieri si stanno licenziando perfino dall'ospedale modello di Kommunarka, quello che è stato visitato da Vladimir Putin impacchettato in una tuta di protezione totale giallo canarino, quando all'inizio dell'epidemia la linea ufficiale del governo era ancora quella che tutto fosse sotto controllo. Oggi, con 100 mila contagiati e 972 morti ufficiali, il presidente russo ammette, in videoconferenza, che «ci manca tutto» e che il picco dell'epidemia deve ancora arrivare. Si sono «bruciati» anche gli operai di Chayanda, Jakuzia, uno dei giacimenti strategici di Gazprom, quello dal quale il colosso energetico russo pompa metano in Cina, nel gasdotto che Putin ha venduto a Xi Jinping dopo 10 anni di faticose trattative. Gli operai hanno chiesto mascherine e test, e hanno chiesto la verità sui contagi, dopo essere stati di fatto segregati in alloggi provvisori in mezzo alla neve, con il virus a diffondersi come un incendio forestale. «Ci trattano come maiali!», è stato l'urlo dei lavoratori, che appartengono a uno dei settori più ricchi e meglio retribuiti di tutto il Paese. Il tracollo economico L'epidemia di coronavirus è la terza crisi, ultima in ordine di tempo, che si aggiunge alle altre due che il Cremlino si trovava già a dover fronteggiare. La prima è quella economica, iniziata nel 2014, con la fine del petrolio a 100 dollari a barile, e proseguita negli ultimi cinque anni tra cospicui tagli alla spesa pubblica e sanzioni internazionali. I redditi dei russi hanno smesso di crescere, mentre la quota dei poveri è tornata ad aumentare, con circa 18 milioni di russi, intorno al 13%, che hanno un reddito inferiore al livello ufficiale della miseria, intorno ai 140 euro mensili, mentre quasi il 50% della popolazione riesce a malapena a farsi bastare i soldi per il cibo e i vestiti. La riforma dell'età pensionistica, lanciata senza preavviso, nel 2018, ha innescato la seconda crisi, quella del consenso per il sistema e per il suo unico leader. Popolarità in picchiata All'inizio del suo lungo regno, Putin aveva posto come obiettivo strategico per la Russia quello di raggiungere il Pil procapite del Portogallo entro il 2015. Vent'anni dopo, gli indici del Portogallo restano ancora molto avanti rispetto alla Russia, mentre ad aprile 2020 i sondaggi del centro VZIOM hanno segnato un nuovo record negativo di quelli del gradimento del presidente, con solo il 28% dei russi che esprime fiducia nei suoi confronti. Ma le nuove metodologie degli spin-doctor del Cremlino parlano più dei sondaggi. Da diversi mesi ormai gli interventi televisivi di Putin – anche quelli più innocui come gli auguri alla nazione per l'anno nuovo, allo scoccare della mezzanotte – vengono pubblicati sui siti dei principali canali TV con la funzione dei commenti disattivata, dopo che il feed si riempiva immancabilmente di insulti e inviti al presidente a dimettersi. Ora, restano i like: su YouTube i pollici versi ai discorsi del presidente superano sempre di gran lunga i «mi piace», e sembra che nemmeno l'intervento dell'esercito dei famigerati «troll» riesca a invertire la situazione. Il frigorifero ha vinto sul televisore, come recita una serie di popolari meme nella Rete russa. L'epidemia di Covid-19 ha gettato una luce spietata su quello che già si sapeva: l'«ottimizzazione» della sanità non ha solo dimezzato i posti letto del capillare ed elefantiaco sistema ereditato dal socialismo sovietico, ha fatto strage di medici. Mentre nella benestante Mosca ci sono ospedali all'avanguardia, dal resto del Paese arrivano notizie disperate. I nosocomi diventati focolai di contagio sono decine, i malati e i medici che hanno preso il virus centinaia, mentre già nella regione di Mosca le autorità invitano i cittadini e i dottori a cucirsi le mascherine (di semplice garza) con le loro mani. Molti medici si licenziano per protesta, altri si «bruciano» di fatica e disperazione come Elena Nepomsnyaschaya. Ma l'impressione è che a «bruciarsi» emotivamente siano stati anche i loro potenziali pazienti, i russi costretti a un lockdown che non viene chiamato tale: il presidente, dopo una lunga esitazione, ha proclamato dei «giorni non lavorativi» fino all'11 maggio, a spese dei datori di lavoro. In alcune città, come a Vladikavkaz o in Siberia, i manifestanti hanno sfidato il divieto di assembramenti in forma «analogica», in altre città, come a Mosca e Pietroburgo, si son tenute manifestazioni di protesta «virtuali», con centinaia di utenti che mettevano nelle mappe del motore di ricerca Yandex tag con frasi del tipo «Putin, vattene» e «Manda aiuti sanitari ai russi, non all'Italia e agli Usa». La partita dell'ex Zar Ora, le tre crisi si alimentano a vicenda in una tempesta perfetta. Il coronavirus chiede urgenti misure di sostegno alla popolazione e alla sanità, ma la spavalda partita a poker giocata dal Cremlino nel marzo scorso contro l'Arabia Saudita ha fatto precipitare il prezzo del petrolio – unica vera risorsa dell'economia russa – sotto quello dell'acqua minerale, e il lockdown mondiale non permette di far ripartire un'economia che funziona a idrocarburi. E l'assenza di mezzi impedisce di tamponare la crisi di consenso, con un Putin che, per la prima volta in un ventennio di permanente accentramento di potere, ha all'improvviso deciso di non giocare allo zar e a delegare poteri alle regioni. Sono i sindaci e i governatori a decidere come far restare a casa i russi, in un federalismo inedito quanto privo di strumenti e mezzi. Poteri che comunque verranno ritirati, come ha appena annunciato il Cremlino: «Non gli serviranno più, finita la pandemia», ha spiegato il portavoce del presidente Dmitriy Peskov. Resta da vedere se i governatori vorranno tornare zucche o, peggio, assumersi le colpe degli inevitabili disastri di un sistema «bruciato». Il sindaco di Mosca Sergey Sobyanin sta già chiaramente puntando a riempire il vuoto lasciato vacante da un presidente che per due decenni aveva attinto il suo potere quasi infinito da una popolarità immensa di «uomo forte».
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