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Cinque anni all’Isola del diavolo – Alfred Dreyfus Medusa Edizioni “Se aveste visto quel Dreyfus andare alla degradazione a testa alta, a passo di marcia, sareste rimasti disgustati come la folla. Quella razza non sa cosa significhi il disonore….” Tuonava, la sera del 5 dicembre 1894, Leon Daudet, figlio del grande Alfhonse, a cena da un amico di famiglia, Emile Zola. “Mentre il maresciallo dei dragoni gli strappava i galloni dorati del képi e delle maniche e gli rompeva la spada, Dreyfus restava immobile, gli occhi spalancati, le dita sulla cucitura dei pantaloni! E’ schifoso! Ripeteva: “Soldati, degradano un innocente!….Viva la Francia! Viva l’esercito! Sulla testa di mia moglie e dei miei figli, giuro di essere innocente!” Avrebbero dovuto coprirgli la voce facendo rullare i tamburi!….” Allora Zola aveva replicato: “Non bisogna fare appello alla folla in nessuna circostanza. Disapprovo energicamente la ferocia delle folle aizzate contro un uomo solo, fosse pure cento volte colpevole!” Non sapevano che stava iniziando l’Affaire che avrebbe diviso la Francia in due, un evento destinato, scriveva Hannah Arendt, a provocare una reazione più veemente e unitaria di tutte le persecuzioni degli ebrei tedeschi una generazione dopo. Il XIX secolo era cresciuto nel mito dell’eroe. Sembrava ce ne fosse una varietà infinita. Dal tipo aristocratico come Byron a quello selvaggio come l’ultimo dei Mohicani, tutti avevano il physique du role. Tutti avevano atteso scalpitando il momento per mettersi alla prova, rischiando la pelle. Per quelle ironie di cui la sorte è generosa, l’eroe che suggellò il secolo e, in certo qual modo lo vinse, era molto diverso. Per prima cosa era un eroe involontario, riottoso a subire la prova impostagli dal destino. In secondo luogo, benché fosse un militare di carriera, era un uomo tranquillo, amante della vita di famiglia e della lettura. In terzo luogo non combatteva contro lo straniero, ma contro le forze più retrive della nazione, quelle che cercavano disperatamente con ogni mezzo di mantenere la Francia lontana dalla modernità. Infine il piccolo capitano ebreo rifiutò sempre il ruolo dell’eroe, forse non capì neppure che avrebbe potuto recitarlo. Si sentirono invece degli eroi coloro che si schierarono per lui, subendo ostracismi di vario genere. Da Zola che, dopo avere firmato con mano tremante la petizione per Dreyfus venne costretto all’esilio a Proust che, per difenderlo, rischiò di annientare la sua carriera mondana, la frivola miniera da cui stava estraendo la Recherche. L’alta società, si era drasticamente divisa. Le dame avevano dovuto rinunciare a un’impossibile neutralità, schierandosi da una delle due parti e perdendo così una parte dei loro frequentatori. La celebre madame Strusse aveva preso il lutto il giorno della condanna di Dreyfus. Quando avevano chiesto a Madame Aubernon: “Che cosa fa dei suoi ebrei?” la signora, felice di vedere la sua casa animata dai litigi tra le due fazioni, aveva risposto trionfalmente: “Li tengo!”. Intanto il povero capitano veniva deportato per cinque interminabili anni nell’afa dell’Isola del diavolo. Lì, tra la rabbia interiore, le punture degli insetti e l’asprezza della prigionia riuscì a resistere alla tentazione di suicidarsi solo pensando alla famiglia e a un’improbabile riabilitazione. “Ah, come vorrei vivere fino a quel giorno per urlare le mie sofferenze e dare sfogo al mio cuore malato!”. Le piaghe si succedevano. Prima era la febbre che lo aveva scosso per sei mesi impedendogli di addormentarsi. “Che vita orribile! Mai un momento di riposo, né di giorno né di notte!”. Poi il sadismo dei superiori che lo costringevano a cucinarsi il magro pasto in vecchie pentole di lamiera sporche e arrugginite aveva innestato un’infezione intestinale. “Quello che mangio così di sporcizia è inimmaginabile”. A volte la sua prostrazione riusciva a smuovere persino i carcerieri che gli allungavano un pezzo di pane o una tazza di brodo. Ma le lettere continuano ad arrivargli parzialmente e a intervalli lunghissimi. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Quando il fratello di Dreyfus, per risollevare il caso, fece girare la falsa voce della sua evasione, Alfred fu sottoposto per due mesi a un regime durissimo. La sua baracca venne isolata da un’alta palizzata che diminuiva la già poca aria. Dentro, era strettamente incatenato al letto. Solo tre mesi dopo venne autorizzato a uscire in quel breve spazio, sotto il sole. Nel 1897 i sorveglianti diventarono cinque, ma arrivarono finalmente dei libri, da Montaigne a Shakespeare. Però “dopo un po’ di tempo si ridussero in uno stato pietoso. Le bestie vi avevano stabilito il loro domicilio,li rosicchiavano e vi deponevano le uova”. Non c’è da meravigliarsi che alla fine Dreyfus, ormai libero, aveva maldestramente reso omaggio alle dame che l’avevano sostenuto, Madame Straus aveva perfidamente commentato: “Peccato che non possiamo cambiare innocente”!. Tuttavia non era stato facile sopire i rancori antisemiti sollevati dall’Affaire. Un giorno Degas, accanito antidreyfusardo, stava dipingendo una delle sue ballerine, quando si era improvvisamente bloccato. Dopo aver fissato lungamente la modella, le aveva chiesto, insospettito: “Non sarai mica ebrea?”. “Sì, signor Degas”. “Va bene!….Guarda, prendi questo ed eccoti pagata…..Adesso rivestiti,vattene e non tornare più….” Giuseppe Scaraffia Il Sole 24 Ore |
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